martedì 4 settembre 2012

Con che faccia (di Marco Travaglio)


La buttiamo lì: e se, dietro il presunto “attacco al Quirinale”, non ci fossero né le “menti raffinatissime” (Mulè, figuriamoci) evocate da Piero Grasso né i “personaggi politici ben noti” che il procuratore nisseno Sergio Lari si guarda bene dal nominare? E se il Quirinale avesse fatto tutto da solo? A furia di sviare l'attenzione dal cuore del problema, politici, giornaloni al seguito e procuratori in carriera son riusciti a far
dimenticare come la storia è cominciata e chi ha fatto cosa (al punto che Mancino si propone addirittura come paciere, manco fosse un passante e non colui che ha coinvolto la Presidenza della Repubblica nei suoi guai privati). A metà giugno la Procura di Palermo chiude l'indagine su 11 fra mafiosi, carabinieri e politici accusati di aver costretto a suon di bombe lo Stato a trattare con Cosa Nostra; più Mancino (falsa testimonianza). Fra gli atti depositati e non più segreti ci sono otto telefonate fra Mancino e il consigliere del Colle Loris d'Ambrosio (quelle tra Mancino e Naolitano, penalmente irrilevanti, restano segrete). Cosa si
son detti Mancino e D'Ambrosio lo sappiamo, anche se tutti fingono di dimenticarlo. Dopo aver sparlato con lui dei colleghi palermitani, D'Ambrosio rivela all'ex ministro quel che fa e gli dice di fare “il Presidente” che “ha preso a cuore” il suo caso: intervenire sull'indagine di Palermo per “coordinarla” con quella di Caltanissetta (sulle stragi del '92), dove Lari esclude responsabilità penali di politici. Ma, siccome il “coordinamento” è già stato assicurato dal Csm (presieduto da Napolitano) un anno prima, l'obiettivo è un altro: intralciare l'indagine sulla trattativa e indirizzarla sulla linea minimalista, almeno sul fronte “politico”. Mancino, con D'Ambrosio, è allusivo e vagamente ricattatorio: “Sono emarginato, distrutto... non è giusto… Vorrei evitare che venisse accolta l’istanza di un ulteriore confronto con Martelli... O tuteliamo lo Stato, o se qualcuno ha fatto qualcosa poteva dire 'ma io debbo avere tutte le garanzie anche per quanto riguarda la rilevanza statuale delle cose che sto facendo'...”. Il messaggio su chi ha “fatto qualcosa”, non si sente “tutelato” in alto loco e potrebbe tirare in ballo altri, giunge a destinazione. Il Quirinale mette in croce Grasso (che risponde picche); e il suo superiore, il Pg di Cassazione Vitaliano Esposito (il quale, al telefono con Mancino che lo chiama “guaglio'”, si mette “a disposizione”) e il suo successore Gianfranco Ciani. Il 3 aprile Napolitano, all'insaputa di tutti, anche del Csm (unica istituzione titolata a occuparsi del caso), scrive al Pg per raccomandare le lagnanze di Mancino. La lettera resterebbe per sempre segreta se l'uscita delle telefonate non costringesse il Colle a renderla pubblica tre mesi dopo. Ciani convoca Grasso su input di Napolitano e gli prospetta di “avocare” o “coordinare” l'indagine, ma Grasso respinge le pressioni, prima a voce poi per iscritto. “Il 22 maggio – rivelerà al Fatto - ho risposto a Ciani che l'avocazione non è nei miei poteri” e “nessun potere di coordinamento può consentire al Pna di dare indirizzi investigativi e ancor meno di influire sulla valutazione degli elementi di accusa acquisiti dai singoli uffici giudiziari”. Con che faccia, oggi, si può raccontare che il Quirinale non ha mai tentato di interferire nelle indagini sulla trattativa? E' alla luce di questi fatti ultraconfermati (il Colle non ha mai smentito D'Ambrosio né il Pg ha smentito Grasso), che da due mesi chiediamo a Napolitano di spiegare agl'italiani cosa disse, negli stessi mesi, a Mancino. Con che faccia si può spacciare una domanda legittima, rivolta alla luce del sole dalla libera stampa alla più alta carica dello Stato, per un attacco destabilizzante al Quirinale ordito nell'ombra da menti più o meno raffinate? In questa storiaccia sono in tanti ad aver agito nell'ombra. Noi no.

Marco Travaglio - 04 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
.

0 commenti:

Posta un commento