mercoledì 16 maggio 2012

Tagli ai partiti e altre virtù: tutto fumo

Ieri per una sigaretta non spenta sono arrivati i vigili del fuoco

Tra il vuoto e l’ammuina all’improvviso si addensa la nebbia. Nel Transatlantico dei peones perduti c’è puzza di fumo. Una sigaretta spenta male in un
cestino. Nell’ufficio postale della Camera. Un dipendente fuorilegge che non ha resistito a farsi due tiri. Arrivano i pompieri e aggiungono altro caos. Lunedì è stato il vuoto, sul farsesco stop and go, ma soprattutto stop, che stritola il testo sui rimborsi ai partiti. Ieri, martedì, l’ammuina dell’ostruzionismo berlusconiano sul ddl anti-corruzione (altro tormentone estenuante) e la rissa sul falso in bilancio, che resuscita per qualche minuto la foto di Vasto con Pd e Idv insieme. L’immobilismo dei partiti davanti alla crisi della Seconda Repubblica non è solo gattopardesco, ma anche macabro e impotente. Una sorta di funerale in progress. Sostiene Arturo Parisi, democrat e bipolarista a oltranza: “Con Berlusconi al governo, questi erano semplici soldati che combattevano. Adesso sono rimasti soldati ma in congedo. L’agenda delle riforme di ABC era una promessa risibile”.
Vignetta di Marilena Nardi
ABC è l’acronimo del vuoto di oggi. Ossia l’inciucione Alfano, Bersani e Casini schiantatosi sul primo turno delle amministrative. E così la Casta immobile sfoga il suo istinto di sopravvivenza soprattutto in due trincee. La prima è quella della legge che dovrebbe, il condizionale ovviamente è d’obbligo, tagliare i rimborsi elettorali dopo gli scandali Lusi e Belsito. Il sette maggio scorso, quando i grillini hanno fatto boom nelle urne, alcuni ambasciatori di ABC, in gergo sherpa, si affrettarono ad annunciare clamorosi e ulteriori tagli nel testo sui rimborsi, ma con il trucco: ai danni dei piccoli. Un’uscita strumentale e disperata per arginare la rabbia del Paese.

Ecco, dopo quasi due settimane, la discussione sulla legge è appena cominciata lunedì in un Aula deserta, e. subito è stata rinviata a martedì prossimo, a ballottaggi conclusi. Sulla carta, il voto era previsto in settimana. Ma i soldati in congedo della Casta non hanno fretta, si comportano come quei ciclisti che fanno surplace, attenti a non superarsi. E si difendono. Massimo D’Alema, campione dei professionisti della politica ha smentito il vuoto di lunedì dell’aula: “Tutto falso”. Le ultime novità sulla legge sono una guerra complicata di cifre fiscali. Antonio Borghesi dell’Idv denuncia che “di fatto” la Ragioneria generale dello Stato ha bocciato il testo perché “determinerebbe un aggravio dei costi per la collettività pari a circa 300 milioni di euro per il 2014 e a circa 170 milioni per il 2015”. Replicano i due relatori, uno per il Pdl, Calderisi, l’altro per il Pd, Bressa: “Borghesi non è in grado di capire quello che fa. Confonde la relazione tecnica della Ragioneria che riguardava la detrazione al 38 per cento per le donazioni dei privati ai partiti e alle Onlus, con l’emendamento che è stato presentato in commissione”. E già. La fretta è tale che i succitati relatori continuano a presentare emendamenti. E la cortina di fumo aumenta. Dice il leghista Vanalli: “Alla faccia della velocità con cui la maggioranza ha propagandato questo provvedimento che doveva nascere ed essere approvato direttamente in commissione, i relatori ancora oggi hanno presentato una ventina di emendamenti al testo base già trasmesso all’aula. Questo è un gioco delle tre carte”. Tre carte come le tre facce di ABC. Anche se poi succede che la seconda lettera dell’acronimo, cioè Bersani, va da Vespa a “Porta a porta” e minaccia: “Se la settimana prossima non c’è il dimezzamento del finanziamento dei partiti, mi sentono. Ma ci arriviamo, ci arriviamo”. Sembra aggiungere: prima però vediamo i risultati dei ballottaggi.

In ogni caso, indovinare il testo che sarà approvato è impossibile. Perché dopo il 38 per cento denunciato da Borghesi (e dalla Ragioneria), Calderisi e Bressa danno altri numeri: “Le detrazioni per chi fa donazioni ai partiti scendono dal 27 al 26 per cento”. Tormentone rinviato alla prossima settimana.

La seconda trincea della Casta immobile e impaurita è il superamento della legge elettorale attuale, il Porcellum. Se ne discute dalla genesi del governo Monti. Quando l’inciucione ABC andava d’amore e d’accordo si stese pure un piano gigantesco di riforme costituzionali. Adesso persino Giorgio Napolitano è costretto ad ammettere che i suoi appelli sono “caduti nel vuoto”. Vuoto, parola che ritorna come un’ossessione. Lo dice, il Quirinale, con Monti a Palazzo Chigi non con il Cavaliere. La questione vera è che il Porcellum piace sia a Bersani sia a Berlusconi. Il primo lo vorrebbe per vincere a capo di una coalizione di centrosinistra le politiche. Il secondo per mandare in Parlamento una pattuglia di novanta-cento deputati scelti e sicuri, votati alla difesa dei suoi interessi aziendali e di famiglia. Già circolano percentuali e nomi, con una notazione. “Agli ex An andranno solo 15 o 20 posti, meno di uno per regione”. Una battaglia per la sopravvivenza, appunto. Dal modello tedesco-spagnolo si è passati alla discussione sul doppio turno.

Nel frattempo, i giorni trascorrono e la politica europea e globale è velocissima. Ma la Casta non si smuove. La lentezza è resistenza. Tra un po’ ci sarà la pausa estiva, poi l’inizio del semestre bianco a metà novembre. Da ieri, 15 maggio, manca un anno esatto alle elezioni. Obietta però Flavia Perina di Fli: “Tenteranno di stare qui dentro fino all’ultimo minuto possibile, magari tirando avanti fino a giugno”. Più che un’agonia è proprio un funerale in progress quello della Casta della Seconda Repubblica. Stasera ci sarà la fiducia sul decreto per le commissioni bancarie. Venerdì si tornerà a casa. Domenica e lunedì i ballottaggi. Quindi riprenderanno i tormentoni su rimborsi elettorale e Porcellum. Tra il vuoto e l’ammuina, il Parlamento si gode l’immobilismo finché può. Nulla è eterno.

Fabrizio d’Esposito - 16 maggio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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