mercoledì 16 maggio 2012

L’ultima chance di Monti

Le elezioni amministrative hanno avviato la fase conclusiva di un cataclisma di cui il residuo ceto politico, come gli equini prima del terremoto, percepisce le oscure vibrazioni, senza però riuscirne a cogliere la magnitudine. La Seconda Repubblica ha esaurito la spinta repulsiva per le stesse ragioni che decretarono lo
sfarinamento della Prima: si sono esaurite le risorse prese copiosamente a prestito per tenere in piedi il sistema di corruttele, sprechi, ricatti e complicità.

Le esequie delle salme dei Pd, con e senza la L, (il terzo po(l)lo è già stato spennato) avverranno al compimento di un processo che può sfociare in due esiti alternativi:

1) Monti riesce a rimettere in carreggiata il treno deragliato dell’economia italiana e acquisisce un capitale politico che lo pone come naturale catalizzatore dell’elettorato moderato, in grado di attirare frange anti-berlusconiane cui il Pd va stretto da sempre; 
2) A Monti sfugge il bandolo della matassa, la crisi economica si avvita verso esiti tragici tra recessione e inasprimenti fiscali e la casta finisce come Papandreou sotto i colpi del voto di rottura al Movimento 5 Stelle, alla galassia di sinistre extra Pd, e chissà quale Alba dorata (o tragica) potrebbe sorgere.

Il primo esito, che sembrava vicino a dicembre, è sempre più evanescente perché Monti (e Napolitano) non ha avuto il coraggio di una rottura drastica optando invece per una strategia “gorbacioviana” tesa a preservare la Repubblica del Bunga Bunga purgandola di Berlusconi (e Tremonti). Il governo doveva aggredire i nodi strutturali mettendo il Parlamento di fronte all’alternativa di ingoiare le riforme strutturali o di assumersi il rischio di elezioni anticipate (e la perdita della pensione). Invece Monti si è baloccato nell’aspettativa (la stessa nutrita da Tremonti) che le castagne dal fuoco gliele avrebbe tolte l’Unione europea.

Per un po’ le operazioni di rifinanziamento della Bce hanno cullato beatamente i sogni. Brusco è arrivato il risveglio con le rinnovate bordate sugli spread. I vacui boatos contro i demagoghi e le reazioni stizzite del premier alle critiche sacrosante su crescita e politica fiscale, sono sintomatiche del nervo scoperto e sanzionano la fine del gorbaciovismo di rito quirinalizio. Il tempo vanamente dedicato a questa strategia del “tirare a crepare” con fiaschi su liberalizzazioni, semplificazioni e diritto del lavoro, ha dilapidato la credibilità ottenuta con i provvedimenti di emergenza sulle pensioni.

Recuperare il tempo perduto sarà impresa ardua non fosse altro perché le elezioni in Francia e in Grecia, contrariamente a quanto speravano i chierici dello status quo, hanno mandato in frantumi un vaso di Pandora globale. La Grecia è ingovernabile, mentre Hollande si dovrà barcamenare per mesi tra promesse elettorali (per le quali non ci sono soldi) e risparmiatori con poca voglia di rischiare sulla roulette dell’Eliseo. La Grecia è a un passo da una catastrofica uscita dell’euro e la Spagna sarà costretta a ricorrere al sostegno dei vari programmi del Fmi e della Ue. Difficile pensare che l’Italia non risentirà di questi sconvolgimenti.

Monti farebbe meglio a liberarsi di cinque o sei pesi morti tra i suoi ministri, nominando un ministro dell’Economia competente con il mandato di prosciugare la palude del parassitismo, di centralizzare la spesa delle Regioni, di eliminare la vergogna dei debiti dello Stato alle imprese, e di ridurre la manomorta pubblica che alimenta i meccanismi opachi del consenso: i referendum in Sardegna hanno rimandato un segnale senza ambiguità contro le degenerazioni della spesa pubblica.

Rimane un fronte, su cui colpevolmente Monti ha tergiversato: l’informazione. Berlusconi ha intravisto da tempo l’epilogo e si è defilato. Fra qualche mese la memoria degli elettori sui disastri dei suoi governi si sarà annebbiata. A quel punto conta di adottare per Alfano & Co il metodo Fede, mettendo per l’ennesima volta sul piatto lo strapotere televisivo. Ecco perché il capitolo Rai e quello dell’Agcom vanno affrontati urgentemente, senza il coinvolgimento dei proconsoli di Arcore nelle seconde file di Palazzo Chigi.

Fabio Scacciavillani (capo economista del fondo sovrano dell’Oman)
16 maggio 2012 - Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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