sabato 26 maggio 2012

Fornero, non è colpa dei giovani (di Maurizio Viroli)

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L’istruzione, asili e scuole. Nessun bambino deve restare indietro, perché, conti alla mano, chi resta indietro costerà molto di più in futuro. In Italia, recenti dichiarazioni del ministro Elsa Fornero paiono esprimere una considerazione analoga. In realtà le sue affermazioni sui “nostri giovani” incompetenti nelle lingue, in italiano e in matematica, e sull'insufficiente confronto fra la scuola e l’università “con le aziende per migliorare la corrispondenza fra domanda e offerta” contengono a mio parere errori di valutazione e soprattutto sembrano accusare dei mali dell’istruzione in Italia chi invece ne è la vittima.

In primo luogo quando parliamo di giovani è consigliabile non generalizzare. Non c'è dubbio che molti, a confronto degli altri paesi europei, sono poco competenti; ma altrettanto vero che altri sono altamente qualificati e che a livello europeo e internazionale ottengono successi considerevoli. In secondo luogo, ma è la considerazione più importante, le cause dell’inadeguata preparazione culturale dei giovani italiani sono la pessima organizzazione, le incertezze delle regole e degli ordinamenti che creano instabilità e confusione, i continui tagli di bilancio e la corruzione dilagante che affliggono le scuole e università. Quest'ultima, in particolare, fa sì che a vincere i concorsi siano spesso dei raccomandati che si distinguono per la loro povertà culturale e morale e danno ogni giorno, nelle aule scolastiche, pessimi esempi.

In questo contesto, i giovani che meritano sono costretti ad andarsene all’estero e a cercare nei migliori centri di ricerca quei riconoscimenti e quelle soddisfazioni che in Italia non possono trovare proprio perché sono molto bravi. Valga per tutti l’esempio di Massimo Zeviani, giunto a 56 anni senza aver vinto un concorso in Italia: lo ha vinto a Cambridge e ha sostituito un premio Nobel, appena andato in pensione, al Medical Research Cancer.

Viene inoltre da chiedersi di chi sia la responsabilità se molti ragazzi, stando a ciò che si può dedurre dall’intervento del ministro, sono promossi pur non avendo raggiunto la preparazione adeguata. Chi ha permesso che il grado di istruzione nella scuola italiana scendesse così in basso? Che dire, poi, del numero impressionante di edifici scolastici inadeguati e in condizioni indecenti che tutte la mattine dicono a studenti, insegnanti e dirigenti quanto poco la Repubblica li consideri? E che dire degli stipendi dei docenti che non li mette in grado (se avessero il necessario monte-ore!) di affrontare le spese di corsi di aggiornamento necessari per essere sempre all’altezza del loro delicato compito? Non voglio soffermarmi, infine, sul triste stato dell’insegnamento delle lingue nella scuola. Per la conoscenza diretta che ho delle scuole medie superiori e delle università italiane, mi pare che i giovani siano stretti da una spirale maligna: la scuola esige poco da loro perché dà loro poco. In un contesto siffatto, gli insegnanti che compiono con serietà il loro dovere di educatori, e gli studenti che vogliono conquistare con i loro onesti sforzi una solida formazione culturale devono vincere difficoltà enormi, tutti i giorni, anno dopo anno. Oltre agli ostacoli interni alla scuola ci sono poi quelli che vengono dalla vita sociale e politica. I giovani vedono ogni giorno innumerevoli esempi di uomini e donne di successo, nella politica e nei media, che sfoggiano orgogliosi la loro abissale ignoranza. Non sanno parlare un italiano corretto (lasciamo stare un italiano elegante, diventato ormai introvabile ), non conoscono l’inglese, ignorano i fondamenti della Costituzione (facile esempio è l’ex presidente del Consiglio Berlusconi), non sanno rispondere alle più elementari domande sulla storia patria, quando parlano di scienze fanno morire dal ridere (come l’ex ministro Gelmini), non perdono occasione di manifestare il loro disprezzo per gli intellettuali rei, appunto, di sapere. Eppure sono tutti i giorni in televisione, elegantissimi, a bordo di sontuose auto guidate da autisti che sembrano maggiordomi britannici, trasudano ricchezza e privilegi e par che dicano: ‘Siate ignoranti, volgari e corrotti, se volete diventare ricchi e potenti!’. Eppure ci sono molti insegnanti molti giovani che scelgono la via opposta, quella degli studi seri e dell’impegno tenace per conquistare una formazione solida da cittadini maturi. Quando lamentiamo le carenze della scuola, dobbiamo anche riconoscere gli esempi di serietà e competenza. Anche la tesi che il confronto fra scuola e aziende migliorerebbe la cultura dei giovani va presa con molta cautela.

Tutte le migliori università danno alle aziende serie la possibilità di informare gli studenti sui loro progetti e sulle loro esigenze; e ovunque nel mondo, ma pochissimo, per quel che ne so, in Italia, le grandi aziende aiutano scuole e università in molteplici modi. Ma la scuola non è e non deve diventare un centro studi: se le aziende hanno bisogno di fare formazione la facciano al loro interno nei modi che ritengono più adeguati alle loro esigenze contingenti. L'autonomia del sapere non può essere toccata e l'amore per la conoscenza dovrebbe essere un valore condiviso e tramandato. Compito precipuo della scuola è e deve rimanere quello di formare buoni cittadini con un sapere critico. Soltanto dopo (in un ordine di priorità) aver acquisito gli strumenti per conoscersi e per conoscere, i giovani potranno compiere scelte consapevoli e responsabili sulla loro vita professionale e sull'indirizzo da imprimere alla propria vita in generale. L'indipendenza della cultura dall'economia è il fondamento per la rinascita civile, sociale ed economica del nostro paese. In questo difficile momento abbiamo soprattutto bisogno di riappropriarci della ‘cultura del perché’, più che di quella del ‘come’.

Maurizio Viroli - 26 maggio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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