mercoledì 12 settembre 2012

“Mi chiedono: perché non vai a rubare? E a chi?” (di Enrico Fierro)


La storia di Antonello

"Sono qui per loro, perché se a me tolgono il futuro, a loro due strappano l'avvenire". La bandiera con i quattro mori che lo avvolge, il caschetto da lavoro in testa, e al collo una foto a colori delle sue due bambine. Come il profugo di una guerra che cerca i suoi figli tra le
macerie di una città distrutta. Antonello Casula, 32 anni, sardo del Sulcis e operaio dell'Alcoa è a Roma. Insieme ai suoi compagni è sotto la sede del ministero dello Sviluppo in via Molise, un budello a due passi da via Veneto che l'impotenza di un governo terrorizzato dalle crisi e dalle proteste dei lavoratori hanno trasformato in una tonnara. Padri di famiglia, ragazzi giovani, donne operaie, guardati a vista da un imponente schieramento di poliziotti, carabinieri e finanzieri. Sopra le loro teste un elicottero. L'unica risposta di questa Italia ad Antonello, alla sua giovane moglie e ai suoi compagni di lotta e di sventura.

"Ho 32 anni, lavoro all'Alcoa da quando ne avevo 22. Dieci anni, uno stipendio da signore. Perché io posso definirmi un signore con 1400 euro al mese. Soldi che in questi anni mi hanno permesso di costruirmi una vita. La famiglia, la casa lasciata dai suoceri e ristrutturata come piaceva a noi. I figli. Li vedi? Giada e Noemi. Per loro nella testa ho mille progetti". É classe operaia, è Sardegna, Antonello è tutto questo: uno dei mille volti della crisi che sta desertificando la sua terra. “Il lavoro in fabbrica è l'unica possibilità che abbiamo di sopravvivere dove il lavoro non esiste più. Un ragazzo di Roma mi ha guardato e mi ha chiesto perché eravamo qui. Gli ho detto che stavamo lottando per il lavoro, gli ho raccontato cos'è la Sardegna. Lui dell'isola conosceva solo i villaggi turistici e i locali alla moda, mi ha guardato perplesso e poi mi ha detto perché non vai a rubare? Bella questa. A rubare, ma a chi?, in un posto dove i più ricchi sono gli operai con il loro stipendio”. Sorride, Antonello Casula quando racconta quel dialogo surreale. Si incupisce quando qualcuno vuole far passare lui e i suoi compagni come poveracci che chiedono assistenza. “Ma li senti gli slogan che dicono no alla cassa integrazione? Noi vogliamo solo continuare ad alzarci la mattina, andare in fabbrica e produrre alluminio. Alcoa non è una delle tante fabbriche devastate dalla crisi economica. No, Alcoa chiude perché è stanca del sistema Italia che non ci consente di avere energia a basso costo. Ha un piano: abbassare la produzione dell'alluminio per aumentare i prezzi sul mercato mondiale. E poi sento mille discorsi sul datevi da fare. Ministri che parlano a vanvera dei giovani e del loro futuro. Io il mio l'ho costruito con il sudore. Ero in fabbrica e studiavo all'università, andavo avanti a Red Bull e camomille. Passavo notti sui libri e alla fine ci sono riuscito. Ho conquistato la mia laurea, ora sono un esperto ambientale. Mia moglie è laureata, insegna. Fa centinaia di chilometri al giorno per poche ore di supplenza. Noi ci si siamo rotti la schiena e abbiamo fatto il nostro dovere di cittadini. Senza chiedere. E ora quel piccolo castello che abbiamo costruito ci sta crollando addosso. Demolito dalla voracità di una multinazionale, dall'indifferenza di un Paese intero e dalla incapacità di un governo che sta assistendo con indifferenza alla distruzione del lavoro".

Enrico Fierro - 11 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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