Oggi mi ha chiamato un amico, che non sentivo da un paio d’anni e mi ha chiesto come mai non avessi detto nulla sulla situazione della mia terra, del Sulcis e le sue miniere. Gli ho detto che forse era meglio così, perché tanto si era espresso
anche Napolitano. Poi a dire il vero, io del mio territorio ne ho scritto su due libri, che però non avevano sfumature di colore, così che potessero restare a memoria. E non si trovano, i miei libri all’Autogrill.
Ma io che ne penso del sindacalista che si taglia il polso in TV?
Male ne penso. Molto male.
Lo scopo lo ha raggiunto, e di questo dobbiamo renderne merito: ora in Italia si sa che esiste anche i Sulcis, ma a quale prezzo? Al prezzo di sempre, quello della svendita, della colonizzazione, dello sfruttamento e del successivo abbandono. È facile che per un po’ gli operai della Carbosulcis conserveranno il loro posto, perché l’elemosina al Sulcis l’hanno sempre fatta, da quando c’è la storia, ma un’elemosina non è per sempre, non costruisce, non fa radici.
Ma sono sotto con l’esplosivo. Lo dicono in TV con l’aria di signorine molto preoccupate.
E quindi? Fai saltare la miniera con te dentro? Bravo coglione che non sarai né martire né eroe, o solo eroe per la moda di Facebook, che durerà fino al prossimo cagnolino da salvare. L’esplosivo è cosa seria e doveva stare fuori dalla miniera, doveva far saltare chi col carbone, negli anni, le mani non se le è mai fatte nere, ma verdi di danaro.
Lavoro! Lavoro! Lavoro!
Sì, Lavoro. Quale? Quello che i sindacati regalavano ai loro parenti quando si ventilava l’ipotesi che le ditte facessero ricorso alla Cassa Integrazione. Così lo si voleva il lavoro, che durasse due giorni e poi si fosse assistiti, mentre i lavoratori quelli veri sputavano sangue a pulire gli altiforni o si bucavano le carni con la soda caustica, lavorando per ditte esterne, quegli appalti e subappalti, e sub subappalti. Perché i sindacalisti nel Sulcis – ammettiamolo – sono stati davvero la mosca sulla merda per anni e anni, e francamente spero oggi non sia più così.
Rita, Compagna, ma non dici nulla delle miniere?
Sì, dico che mio nonno c’era già nello sciopero del 1920, ma aveva senso. Loro esigevano di essere riconosciuti come lavoratori. Loro aprivano la strada a quello che sarebbe stato dolo il 1970 e quello che ci ha consegnato la storia, che da noi in Sardegna è sempre stata scritta in maniera diversa da come si scriveva in Italia.
Leggo che si vuole la riconversione della miniera, e allora dico che quelli come mio nonno, se potessero tornare dovrebbero prenderci a schiaffi tutti quanti. I minatori del Sulcis dovrebbero chiedere di essere riconvertiti loro, e non la miniera. Dovrebbero esigere il lavoro laddove si potrebbe investire per costruire in un regime finalmente di autarchia, in un territorio che tanto potrebbe dare se rispettato per le sue peculiarità.
Finirà con la stessa elemosina di sempre, che darà la sensazione d’aver avuto un minimo di respiro, mentre sempre i soliti noti, con le loro grandi aziende arriveranno a colonizzare quel poco che ci sarà ancora da sfruttare.
Tutta la mia solidarietà alle persone disperate che in nome di quella disperazione agiscono, ma anche la speranza recondita che la lotta possa portare ad una nuova e vera rinascita. Per tutta la mia isola.
Rita Pani (APOLIDE SARDA) - 30 agosto 2012 -
R-ESISTENZA-INFINITA
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