venerdì 31 agosto 2012

BOBINE & SOFFIATE, CHI CI GUADAGNA (di Bruno Tinti)


I SEGRETI DELLE INTERCETTAZIONI: CHI CI GUADAGNA DALLA SOFFIATA?
Una stretta rosa di persone è a conoscenza delle registrazioni

Quod erat demostrandum (come volevasi dimostrare). Arrivano supposizioni mascherate da rivelazioni (“fonti anonime”) sul contenuto delle telefonate M-N (Mancino-Napolitano): “N ha parlato male dei PM”. “N ha garantito comprensione e solidarietà”. “N ha parlato male di B”
(bè, quasi quasi solidarizzo). E domani? Cosa si attribuirà domani a Napolitano? “L’Urss ha fatto bene a invadere l’Ungheria nel ‘56, per questo sono rimasto nel PCI quando tanti altri, sdegnati, ne sono usciti”?

Nicola Mancino
Non era meglio affrontare la situazione, quale che fosse, con immediata franchezza? Pare di no. Siamo ancora una volta al complotto, alla magistratura nemica delle istituzioni. Eppure una cosa è certa: le intercettazioni non sono mai uscite dalla Procura di Palermo. Nessuno sa cosa davvero si sono detti i due vecchi amici. Se così non fosse, oggi non si spaccerebbero supposizioni per informazioni. Si pubblicherebbero tanti bei discorsi virgolettati, sicuri di poterne provare l’autenticità mediante l’ascolto delle bobine, beneficiando così dell’esimente della veridicità del fatto (art 596 comma 3 c p).

Le bobine, appunto. Quale strada hanno percorso, come mai nessuno sa quello che contengono, perché nemmeno i difensori dei 12 imputati di cui è stato richiesto il rinvio a giudizio ne sanno nulla? Non è difficile da capire, basta leggersi il codice di procedura.

Tizio è intercettato. Quando il suo telefono comincia a funzionare, si attiva un registratore. Un poliziotto ascolta la telefonata e ne fa un riassunto in un “brogliaccio” (art. 268 comma 1 cpp). Poi il brogliaccio e le bobine sono consegnate ai PM, non sta al poliziotto decidere cosa fare. I PM leggono e ascoltano; poi decidono. Trattasi di conversazioni rilevanti ai fini probatori; per poterle utilizzare in dibattimento le dobbiamo trascrivere (art. 268 comma 7). Oppure: non servono a niente, si tratta di conversazioni private senza rilievo penale; le conserviamo in cassaforte (art. 296 comma 2). Alla fine delle indagini tutto il fascicolo deve essere depositato, intercettazioni (trascritte e no) e brogliaccio compresi (art. 415 bis); non si sa mai, le difese potrebbero ritenere rilevanti proprio quelle intercettazioni che il PM non ha giudicato tali. Se così avviene, queste conversazioni vanno ascoltate e, se le difese lo richiedono, trascritte. Oppure potrebbe succedere che se ne chieda la distruzione perché lesive della riservatezza (art. 269 comma 2). Deciderà il GIP. Naturalmente, in questo caso, un sacco di gente finisce con il conoscerne il contenuto, proprio ciò che la parte interessata vuole evitare.

Ecco perché, in genere, nessuno chiede la distruzione: tutto resta sepolto in cassaforte e chiasso finito. Ma può anche succedere che alcuni atti, documenti e intercettazioni non siano depositati. Questo succede quando si tratta di materiale del tutto estraneo ai fatti per cui si procede ma pertinente ad altra indagine non ancora conclusa. Così è avvenuto in questo caso. L’indagine per la trattativa Stato–mafia non è conclusa: ci sono prove ritenute sufficienti per 12 imputati ma nei confronti degli altri bisogna continuare a indagare. Quindi le posizioni dei 12 sono state separate (in gergo si chiama stralcio) e sono stati depositati solo gli atti, i documenti e le registrazioni che li riguardavano. Il resto è rimasto nel fascicolo originale e sarà depositato quando e se si arriverà a una nuova richiesta di rinvio a giudizio per altri imputati. Procedura perfettamente legittima, lo ha detto la Cassazione qualche decina di volte e da ultimo con sentenza 19711/2010.

Ecco perché nessuno mai ha ascoltato le telefonate M-N né, fino allo scoop di Panorama, ne ha sospettato l’esistenza: non sono mai state depositate. A questo punto la rosa delle persone che potrebbero aver rivelato a Panorama l’esistenza delle telefonate (e oggi, forse, il loro contenuto) è molto ristretta: PM e poliziotti che hanno lavorato con loro e... Mancino, Napolitano o tutti e due. Nessun altro ne sapeva nulla.

Ora Ragioniamo. Supponiamo che le rivelazioni a Panorama provengano dai PM o dai poliziotti. Ma allora, perché raccontare solo dell’esistenza delle telefonate e non il loro contenuto? Se l’obiettivo era delegittimare Napolitano, rovesciare il governo Monti etc etc, ciò che contava era quello che i due si erano detti, non il fatto che due vecchi compagni d’arme chiacchieravano al telefono. Ma, se la fonte delle rivelazioni fosse da identificarsi in M-N, allora sì che la cosa avrebbe senso. I due sanno di aver detto cose che non si debbono dire, che avrebbero un effetto dirompente se conosciute. Sanno che, presto o tardi, qualcuno finirà con il conoscerle. Sanno che non c’è modo legale di impedirlo. E allora?

Si rivela il meno possibile (l’esistenza delle telefonate, di per sé neutra) e si pianta una grana per distruggerle prima che ne emerga il contenuto. Naturalmente completando il tutto con i magistrati che non potevano, non dovevano, hanno violato le sacre prerogative etc etc. Cosa sarà mai ciò che M e N si son detti a fronte dell’offesa perpetrata alla persona sacra e inviolabile? Tecnica già usata più volte ma sempre efficace.

E infatti siamo 4 o 5 a continuare a ragionare su questa storia in maniera laica: Zagrebelsky, Cordero, noi de Il Fatto; gli altri tutti schierati “a difesa delle istituzioni”. Mi viene in mente un bel vecchio libro, L’esperimento di Pott, Pitigrilli, Sonzogno, 1930. Pott è un giudice e parla con il Procuratore generale. “Eccellenza – gli dice – lei è una di quelle 3 o 4 persone che credo oneste”. “Ma quanti siamo esattamente – dice il Pg – 4 o 5?” E Pott: “Non le ho mai contate davvero perché temo di non arrivare a 2”.

Bruno Tinti - 31 agosto 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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