martedì 28 agosto 2012

I minatori: “Vogliamo il lavoro, pronti a farci esplodere qui sotto” (di Giampiero Calapà)


CARBONE ARDENTE - IL LAVORO ALL’INFERNO
Con i minatori del Sulcis asserragliati a 400 metri di profondità: “460 posti a rischio, abbiamo 350 kg di plastico”

Gonnesa (Carbonia-Iglesias)
La porta dell’inferno sembra quella di una galera, sbarre, buio e silenzio. Un cartello indica “materiale esplosivo”: dentro ci sono 350 chili di plastico, “quantitativo che, per capirci, credo
possa combinare un disastro come quello di Capaci”. Forse esagera il minatore che ci porta davanti alla stanza dei candelotti, estrema arma – giurano i suoi colleghi che assieme a lui occupano la miniera di carbone di Nuraxi Figus – per convincere il governo a non uccidere le loro speranze, a non seppellire le loro esistenze tirandoli fuori, per sempre, dalla miniera. E cancellando, come Enel comanda, con un colpo di penna, il lavoro di 460 persone, con mogli, mariti, figli, famiglie, vite da sfamare.

Nel labirinto
Non chiede il lusso chi lavora vicino alla porta dell’inferno, ogni giorno scende dentro una gabbia che in cinque minuti porta a più di 400 metri sotto terra (il pozzo più profondo a quasi 500): accesso a un labirinto di gallerie, lungo oltre 70 chilometri, in alcuni punti a 40 gradi di temperatura, che si spinge fin sotto al mare. Da due notti i minatori della Carbosulcis, azienda controllata dalla Regione Sardegna, la stanno occupando la loro miniera, trenta alla volta per turni da otto ore, con il dito puntato sul grilletto dell’esplosivo. E non scherzano: “Siamo pronti a tutto”, ripete Francesco Garau della Cgil. Stefano Meletti, rsu della Uil, spiega perché: “Stanno cercando di uccidere definitivamente il Sulcis, noi e l’Alcoa siamo solo le due punte dell’iceberg. Ma se proprio dovremo morire , decideremo noi come e in quale condizione”.

L’unico parlamentare che si è degnato di indossare le scarpe antinfortunistiche e venire qua sotto è Mauro Pili. Popolo delle libertà. Raccontano che è uno sempre in trincea, faceva il segretario di sezione per i postcomunisti del Pds, poi fu folgorato, come tanti, sulla via di Arcore e subito Forza Italia, quindi Pdl appunto. Dicono anche che Silvio Berlusconi lo abbia amato molto, tanto da volerlo alla Camera, ma che al momento decisivo gli abbia preferito Stefano Cappellacci, attuale governatore sardo. Qua sotto si vede solo Pili, la sinistra ha perso un’altra occasione, almeno ieri. E lui cavalca la protesta: “Il nostro nemico giurato si chiama Enel, serve un decreto immediato, che Enel ostacola. Se perdiamo la miniera quello che non si potrà più assicurare qui è l’ordine pubblico. La situazione potrebbe diventare pericolosa, molto pericolosa”.

Massimo, Luigi e gli altri
E ancora: “Può succedere di tutto”, ripete anche lui. Quella frase riecheggia nelle gallerie buie, in pasto ai giornalisti che sono scesi giù. Chi sono questi volti segnati da anni di polvere e fango in faccia per otto ore al giorno? Giampiero e Luigi, 53 anni, i più “anziani” del gruppo. Sono qui dal 1982. Il primo ha due figli: “Il ragazzo ha 26 anni e lavora in un supermercato. La mia bambina ne ha 20 ed è al primo anno di Scienze politiche. Studia a Cagliari. Sarei dovuto andare in pensione adesso. Ma ho scelto di lavorare altri quattro anni, perché ora prendo 1.700 euro, con la pensione non riuscirei ad andare oltre i 1.300. Chi la paga poi l’università a mia figlia? Così mi ritrovo alla quarta occupazione della mia vita”. La prima fu nell 1984, poi di nuovo nel ’93 e nel ’95 la più lunga: “Cento giorni che ci hanno permesso di campare fino ad oggi”, sospira Luigi. Massimo, invece, ha 54 anni, di cui 25 spesi otto ore ogni giorno in queste gallerie, a fare il mestiere più difficile: “Quando ‘tagli’ con la macchina, l’operazione di estrazione del carbone, si alza tanta di quella polvere, quando non fango... Ora io e te siamo a mezzo metro di distanza, bè non ti vedrei. A volte per otto ore lavori non vedendo nulla. Anche io ho due figli, guadagno 1.500 euro e pago un mutuo di 700. Pensa cosa mi rimane. La più grande è all’ultimo anno di superiori. Vorrebbe andare a studiare a Cagliari, ma non so – si commuove – se potrò permetterglielo e me ne vergogno”. Giancarlo, 52 anni, ha già il verdetto della sua esistenza: “Ho fallito. Non vale la pena vivere così. Ti costringono pure a fare la guerra per mantenere questo schifo di vita. Ho un figlio di 26 anni, tanti quanti quelli passati da me qua sotto. Lo scorso anno avrei potuto fargli fare domanda per lavorare qui. Ma non ho voluto. Ora voglio solo arrivare alla pensione e portare mio figlio in Liguria, magari lì troverà lavoro: è sempre stato disoccupato. Ma adesso neppure alla pensione mi vogliono fare arrivare”. Alessandro è giovane, sposato da poco, lavora qui da cinque anni: “Pago un mutuo di 600 euro al mese. Ne guadagno 1400. Ho studiato. Sono perito minerario. Ma faccio l’operaio, questa era l’offerta. A 32 anni un figlio non posso permettermelo. Posso fare anche l’operaio, immerso in polvere e fango tutto il giorno, ma questo non è proprio giusto. Hanno deciso che possono cancellare il tuo futuro e non contenti poi ti schiacciano anche all’occorrenza, ma non ci faremo schiacciare da nessuno”.

La Carbosulcis a regime potrebbe estrarre, cifra che dovrebbe garantirne l’esistenza, un milione di tonnellate di carbone l’anno. Oggi si ferma a 300 mila, comprate dall’Enel. Il sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti ha sentenziato che il progetto che salverebbe la miniera, con la costruzione di una centrale a emissioni zero, è troppo costoso, che graverebbe eccessivamente sul Cip6, la legge che finanzia le energie rinnovabili. “Undici miliardi di euro l’anno che vengono buttati nella truffa di Stato dell’eolico”, dicono i sindacati. E l’Enel punta su Porto Tolle, Veneto. Qui a Gonnesa il sole non batte più.

Numeri, Enel e futuro
Oggi c’è il Consiglio straordinario in Regione per parlare di Alcoa e Carbosulcis. Ma l’incontro decisivo è venerdì a Roma. Senza il decreto immediato il fuoco potrebbe arrivare da sottoterra. Ma sono davvero determinati fino ad arrivare a tanto questi minatori del Sulcis? Fino ad aprire la porta dell’inferno (e non per i soli 20 chili di esplosivo usati in genere quando si trovano pareti troppo dure da “tagliare”)? “Noi sappiamo che qua dentro, ogni giorno di lavoro, c’è un livello di pericolo talmente alto... Sopra la nostra testa ci sono altri livelli di gallerie, poi il mare. S’immagini. I minatori non vanno sfidati”. Altrimenti, quella porta, sono pronti a oltrepassarla.

Giampiero Calapà - 28 agosto 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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