giovedì 14 giugno 2012

La scialuppa A, B, C e le ciurme senza rotta

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Il Parlamento come la “Concordia” al Giglio

La disastrosa metafora marittima regge eccome. Ma l’indolente Transatlantico di Montecitorio non assomiglia al solito Titanic. Piuttosto, l’odiato governo Monti, che ormai tranne Napolitano (e Scalfari) nessuno vuole più, fa ricordare la Concordia incastrata sull’Isola del Giglio. La Concordia sono i tre partiti che formano la strana maggioranza e la sostanza è che
i tre leader-comandanti ABC (Alfano, Bersani, Casini) sono Schettino nell’anima ma non nei fatti. Costretti a rimanere a bordo fino all’ultimo, ma con la voglia di scapparsene appena possibile. Il risultato è un triste spettacolo, tra l’ammuina e il vuoto, che rischia di ingrassare ancora di più il Movimento 5 Stelle. E quello di ieri è stato uno show degno di un Sisifo contemporaneo. Fatica inutile. Ben tre voti di fiducia nel giro di otto ore, con parlamentari stressati e incazzati e sullo sfondo un retropensiero rassicurante ed esplicitato dai vari falchi del Pdl, tipo Cicchitto e Gasparri: “Questo provvedimento lo ammazzeremo al Senato”. Come denuncia il finiano Carmelo Briguglio in aula: “Sarebbe gravissimo se ci fosse la cappa del
pregiudizio, cioè licenziamolo e poi assassiniamolo al Senato”. Il pregiudizio invece c’è ed è visibile. Altrimenti non si spiegherebbero il sorriso e la fretta di alcuni esponenti della banda degli onesti di Angelino Alfano che si alzano da una panchina nel cortile e corrono a rispondere alla chiama. Davvero Cosentino, Cesaro e Milanese, in tre una valanga di accuse tra camorra, P3 e P4 sono quei tacchini (copyright Antonio Di Pietro) felici di dire sì al Natale di un testo anti-corruzione? Il paradosso, poi, è che il ddl della Guardasigilli Severino (cui il capo dell’Idv rinfaccia pure i clienti eccellenti del suo studio legale) non piace sia ai dipietristi sia ai sostenitori dell’impunità a prescindere travestita da garantismo. La fiducia a Monti si mantiene oltre quota 400 nei tre voti, ma scende lentamente . I più liberi nell’insofferenza anti-sobrietà sono quelli del Pdl. La truppa di no e astenuti aumenta col passare del tempo. Anche perché il Vero Leader, Silvio Berlusconi, è assente. Non si fa vedere. Al primo voto sull’incandidabilità la Mussolini e Lehner dicono no e gli astenuti sono sette: Bergamini, Castiello, Cazzola, Grassano, Martino, Pecorella, Moles. Sulla concussione per induzione, la pancia dei berlusconiani s’infiamma. Si astiene il partito degli avvocati specialisti nelle leggi ad personam (il già citato Pecorella, poi Paniz e Sisto), in compagnia dell’ex ministro Brunetta, dell’ex detenuto Brancher, del generale Speciale, della bionda Biancofiore, del siciliano Micciché. Un assortimento ai confini della realtà. Ma anche tra chi dice sì il malessere è evidente. L’ex ministra Bernini ricorre a una contorta retorica: “Quando un governo pone la questione di fiducia, lancia di fatto la palla oltre il contenuto del provvedimento, anteponendo al merito un passaporto di sopravvivenza su se stesso. Ed è per garantire la vita del governo che ho votato la fiducia di oggi”. Il segretario del Pri Francesco Nucara, eletto con il Pdl, ce l’ha con Monti perché ha ringraziato solo ABC: “L’alfabeto prosegue e Monti non ha ringraziato minoranze e deputati. Il premier un tempo ha citato Spadolini: ‘I governi passano, i professori restano’. Oggi gliela rigiro: ‘I governi passato, i partiti restano’”. Un avvertimento a futura memoria per le presunte ambizioni di Monti per il Quirinale?

Nel Pd, invece, c’è più disciplina. Ci si tura il naso, ma si maledicono i giovani turchi della segreteria di Bersani, che non sono deputati. In particolare due: Stefano Fassina e Matteo Orfini. Si sfogano tre peones: “Fassina e Orfini fuori di qui possono dire quello vogliono contro Monti mentre noi dobbiamo spingere i tasti senza parlare”.

Per fortuna, verso le due del pomeriggio, c’è Massimo D’Alema a vivacizzare l’estenuante e mesta processione della chiama. In cortile si avvicina a Roberto Giachetti, segretario d’aula del Pd. Il duetto è bellissimo. Oggetto: le dichiarazioni di voto. D’Alema: “Giachetti non si può velocizzare o dobbiamo sciropparci un’altra ora di chiacchiere”. Giachetti: “Come faccio a dire ai nostri di non parlare?”. D’Alema: “Una volta il segretario d’aula non proponeva ma disponeva. Quando il compagno Pochetti (segretario d’aula del Pci, ndr) batteva le mani persino Berlinguer gli correva dietro . Si può dire sì o no senza spiegare”. Giachetti: “Vaglielo a dire tu”. D’Alema: “Sei tu il segretario d’aula”. Giachetti va, ma ritorna sconfitto: “Niente da fare”. Poi l’ex premier fa un monologo sul giornalismo, ritorna sulla politica e il cronista del Fatto gli fa notare che dalla prossima legislatura avrà più tempo per riposare, visto che ha annunciato di non ricandidarsi. La risposta è sarcastica: “Io già vengo qui per riposarmi. Il vero lavoro è altrove, nelle commissioni”.

Mezz’ora dopo, quattro deputati dell’Idv, tra cui Cimadoro, improvvisano una scena da Casta. La chiama è lunga ed è meglio organizzare una cena con champagne. “Dove mangiamo ?”. “Su una terrazza con vista su Castel Sant’Angelo, meglio della casa di Scajola al Colosseo”. Risata. “Chi porta lo champagne?”. “Ma di chi è la casa? Se non conosco il proprietario non vengo”. “Non preoccuparti, non è un imprenditore, è uno di noi, un funzionario dello Stato”. Quando si dice la percezione della crisi e del paese reale.

La scena finale è tutta di Donatella Ferranti, che ha parlato per il Pd in aula. Esce trafelata dalla Camera e va incontro infuriata a una ragazza, forse la figlia: “Hai capito che non potevo muovermi? Se non votavo finivo su tutti i giornali. Andiamo”. Le fatiche di Sisifo hanno sempre un prezzo. Anche familiare.

Fabrizio d’Esposito - 14 giugno 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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