giovedì 3 maggio 2012

Lega - I segreti di Stato in mano a Belsito

DOCUMENTI TOP SECRET TRA LE CARTE SEQUESTRATE ALL’EX TESORIERE DELLA LEGA

"Dottore, dietro di me non ci sono pupari”. È sera tardi quando Francesco Belsito pronuncia queste parole, il suo interrogatorio negli uffici della Dia di Milano volge al termine. Ha davanti
il pm della Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, di fronte il terrore di finire invischiato in brutte storie di riciclaggio dei soldi della 'ndrangheta calabrese. E suda freddo quando il magistrato insiste sui suoi rapporti con Romolo Girardelli,
“l'ammiraglio”, l'unico che nell'inchiesta che ha coinvolto i faccendieri che ruotavano attorno alla Lega, è accusato anche di favorire gli interessi della 'ndrangheta. Quando si sono conosciuti l'ex buttafuori ed ex galoppino di Alfredo Biondi e l'ammiraglio in odore? Pochi anni fa, risponde Belsito. "Girardelli è un intermediario immobiliare, mi rivolsi a lui per alcune operazioni". In realtà i rapporti fra i due sono di più antica data e risalgono almeno al 2000-2001. A metterli in contatto è un personaggio noto negli ambienti della politica genovese, Armando Pleba. Belsito era ragioniere in alcune società dell'esponente politico. Pleba era un uomo potente, piazzato dalla Dc in una miriade di società semi-pubbliche. Ai giornali ha raccontato che Belsito gli fu presentato nel 1999 da un esponente di Forza Italia e che gli apparve "vestito come un accattone. Aveva un’impresa di pulizie, lo vestii e gli feci prendere qualche appalto". Poi il rapporto tra i due da affettuoso, il "boiardo" democristiano lo avrebbe addirittura nominato erede universale, diventa conflittuale per una storia di società fallite e di soldi spariti.

Uomo dai mille passati, Belsito non ha saputo giustificare i file e i dossier su varie personalità, non solo della Lega, trovati nel suo studio e nei suoi computer. Fonti investigative parlano del ritrovamento di documenti coperti dal segreto di Stato. Mistero anche sulla società Aurora, con sede in Svizzera, che gli inquirenti sospettano essere il forziere di Belsito. E Belsito si chiama, ma Franco Domenico ed è calabrese di Sant'Onofrio, il gestore della società. È un nome di copertura di Francesco Belsito? Gli inquirenti sono convinti di sì. Perché anche Bruno Mafrici, l'avvocato calabrese trapiantato a Milano nel cui studio giravano i conti e gli affari di Belsito, dell'imprenditore veneto Bonet e di Girardelli, usava in alcuni affari il nome di Giovanni Mafrici. Per chiarire il tutto, presto gli investigatori calabresi andranno in Svizzera. Indagini anche in Vaticano per approfondire gli affari di Stefano Bonet con la Sanità della Santa Sede. Le attenzioni degli investigatori si concentrerebbero su una carta di credito in possesso dell'imprenditore, usata per pagare una corposa “mediazione” che porterebbe a un alto prelato. Bonet, che voleva accaparrarsi il business delle 123 mila strutture sanitarie della Santa Sede, parla spesso dei suoi rapporti con le “lobby vaticane”.

E anche lui confezionava dossier.
Per difendersi dalle accuse "infamanti" sui suoi rapporti con Belsito e sui soldi della Lega apparsi in ampi servizi sul Secolo XIX, si giustifica. Bonet è in affanno , quelle notizie rischiano di compromettere il suo obiettivo, e si rivolge a "poteri forti", così dice in una telefonata, che gli "consigliano di muoversi in modo trasparente e chiaro".

A questo punto dell'inchiesta e dopo gli interrogatori, grande è l'agitazione dei protagonisti: Belsito vuole scaricare Bruno Mafrici, ma il legale calabrese non ci sta: "Fu lui a cercarmi e a propormi una serie di operazioni finanziarie".

Enrico Fierro di Lucio Musolino - 03 maggio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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