mercoledì 5 dicembre 2012

Caso Sallusti, il coraggio dei garantiti


Il caso del direttore del "Giornale" è la metafora di una giustizia di classe: un affronto pubblico e simbolico verso quelle migliaia di poveri che in prigione vi finiscono realmente per molto meno. Come Fall Alioune, giovane senegalese detenuto nel carcere di Velletri.

Il direttore Alessandro Sallusti è il numero 8268 fra quelli che hanno usufruito della legge Alfano-Severino sulla detenzione domiciliare. Una legge enfaticamente e erroneamente
definita svuota o salva carceri. I giornali della destra non hanno mai detto un parola di preoccupazione per il sovraffollamento penitenziario. Anzi, hanno nel tempo alimentato una cultura forcaiola e di giustizia sommaria.
Il caso Sallusti è la metafora di una giustizia di classe, che tale è nelle aule di tribunale e nella rappresentazione dei media. Analizziamolo insieme al caso di Fall Alioune, giovane detenuto senegalese.

Alessandro Sallusti viene condannato a quattordici mesi per avere pubblicato sul suo giornale un articolo firmato con uno pseudonimo (l’autore era Renato Farina) ricco di falsità e pertanto profondamente diffamante. Nell’opinione pubblica si apre un dibattito sui delitti di opinione. Nessuno discute di un codice approvato nel 1930 denso di voglia di persecuzione nei confronti di chi si macchia di delitti di opinione. Nei giornali della destra si parla solo di Sallusti e non del codice fascista. Sono convinto che le norme sulla diffamazione andrebbero abrogate, al pari però di quelle sull’oltraggio o sulla propaganda sovversiva. Si discute però solo di Sallusti in quanto l’oltraggio è un reato dei poveri e la sovversione è un reato di quelli di sinistra. La battaglia di Sallusti per andare in galera è un affronto pubblico e simbolico verso quelle migliaia di poveri che in prigione vi finiscono realmente per molto meno. La sua rottura simbolica della legalità (evasione dagli arresti domiciliari) è ipocrita perché palesemente priva di conseguenze, visto che Sallusti gode di immunità sostanziale nonché di copertura politica, economica e giornalistica. Sallusti ha fruito, senza averlo chiesto, di detenzione domiciliare in quanto vive in una casa di quasi mille metri quadri. Un extracomunitario, quando finisce dentro per fatti molto meno gravi, resta in galera anche se chiede gli arresti domiciliari, perché non ha una casa e in quanto i giudici non si fidano di lui, mentre si fidano della Santanché.

E ora veniamo alla storia di Fall Alioune. Lui è in galera a Velletri. Deve scontare dodici anni e non un anno e due mesi. Era un lavoratore. Faceva l’ambulante a Ladispoli. Ha cumulato 21 condanne per la vendita di cd falsi. Un reato molto meno grave rispetto alla diffamazione giornalistica. Quest’ultimo offende il bene della integrità morale di una persona accusata di falsità ignominiose. La vendita di cd contraffatti, nell’era di youtube e di eMule, non lede alcun bene giuridico degno di questo nome. Se così non fosse dovremmo mettere in galera mezza Italia che ascolta la musica grazie ad internet. Invece in galera ci vanno solo gli stranieri come Fall Alioune. Lui è senegalese e ha 36 anni. Non ha possibilità di avere la detenzione domiciliare. Solo quando l’avvocato Luca Santini, bravo e motivato, si accorge di lui, la storia di Fall Alioune, ha qualche chance di prendere una direzione meno tragica e folle. Nel tempo ha cumulato condanne e anni di galera senza che nessun commentatore della destra giornalistica si sia occupato di lui. La sua storia è stata ripresa su Repubblica.it grazie a un bravo giornalista (Vladimiro Polchi). Nonostante ciò il resto della stampa è rimasto silente e indifferente.

Ora vedremo se i casi Sallusti e Alioune prenderanno strade diverse. Se dovesse mai partire una richiesta di grazia per Sallusti e non per Alioune vedremo chi si schiera e con quale motivazione. Sallusti ha il coraggio dei garantiti. Alioune la disperazione degli esclusi. Noi siamo per la grazia ad Alioune. Nel caso di Alessandro Sallusti invece la grazia sarebbe la certificazione del doppio binario della giustizia italiana. Da lui vorremmo una parola di grazia nei confronti delle Pussy Riot, finite in una galera russa per avere cantato una preghiera punk nella quale si parlava di Putin, l’amico di Berlusconi, ovvero l’editore del "Giornale". Ma questa è una storia seria.

Patrizio Gonnella - 03 dicembre 2012 -
micromega-online
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