martedì 18 settembre 2012

Legge elettorale, il conto va al Pd (di Arturo Parisi)


Come temevamo, ma ancora non riusciamo a credere, l'inizio dell'autunno troverà la legge elettorale più che mai inchiodata all’alternativa tra il mantenimento del Porcellum e il ritorno più o meno camuffato alla legge proporzionale della Prima Repubblica. Facendo finta prima di
accordarsi e ora di bisticciarsi i tre partiti della maggioranza non hanno tuttavia perso il tempo invano. Dopo aver rinviato la definizione della legge elettorale con la scusa di voler fare le riforme istituzionali, ora, con la scusa dell’urgenza della legge elettorale, non hanno neppure il bisogno di far finta di essere dispiaciuti per non aver più tempo per fare le riforme.

Risultato. 945 erano i parlamentari e 945 restano. E dire che avevano cominciato col dire che era ineludibile ridurli alla metà. 2 erano le Camere e 2 restano. Una perfetta fotocopia dell’altra. A dispetto di tutto il bla bla sulla necessità di un Senato delle autonomie e della comprovata esperienza del raddoppio del tempo necessario a fare una legge, cioè a dire a non farla facendo finta di farla.

Confermate così le Camere e le poltrone che loro stessi avevano promesso di tagliare, un bottino trattato come se fosse “cosa loro”, l'obiettivo che la tattica dilatoria di ABC ora si propone è quello di tenere fuori quelli che stanno fuori e mettere sotto quelli che, nonostante tutto, riuscissero a entrare. Invece di coinvolgere e costringere alla verifica del consenso le proposte che vanno moltiplicandosi in nome di qualità e di quantità che solo le elezioni possono misurare. Mentre già mancano meno di cinque mesi alla convocazione dei comizi elettorali e sei al deposito delle liste sappiamo che potremmo disporre di una nuova legge elettorale, se va bene, nel prossimo novembre, cioè a dire a tre mesi dall'inizio dell'iter elettorale.

Sappiamo cioè a dire già ora con certezza che, qualora si pensasse di tornare al Mattarellum, non si farebbe più in tempo a ridisegnare collegi elettorali demograficamente equivalenti secondo le modalità e le procedure previste da quella legge. Sappiamo pure che le liste che non godano del privilegio di potersi presentare senza raccogliere le firme non disporrebbero più del tempo finora previsto. E questo dimenticando chi è arrivato a indicare nelle elezioni siciliane della fine di ottobre la vera data di riferimento per valutare le convenienze dei partiti e in particolare la tenuta dell'accordo tra Bersani e Casini. Come se la democrazia fosse “cosa loro”.

Questa è la fine alla quale giorno dopo giorno è stata condotta la Repubblica. Una vergogna per chi ha la responsabilità di averci portato a questo punto. Un disastro per tutti. Il fatto che un costituzionalista autorevole e avvertito come Michele Ainis abbia proposto dal Corriere della Sera come unica via di uscita un decreto del governo è da solo la prova della gravità della situazione in cui Berlusconi, Bersani e Casini ci hanno portato. E giustamente Ainis la definisce una soluzione disperata per uscire dalla disperazione. La stessa disperazione che l'anno scorso ci indusse a lanciare fuori tempo massimo il referendum contro il Porcellum. Se anche le probabilità di ammissione da parte della Consulta fossero state residuali dovevamo provarci. I partiti di allora erano infatti gli stessi di oggi, quelli che il Porcellum avevano voluto e quelli che di esso avevano goduto. E gli stessi erano i leader. Non è un caso che così come all'inizio tutti, e ripeto tutti, espressero la loro avversione al referendum, alla fine nessuno, e ripeto nessuno, si sentì di aggiungere la propria firma al 1.200.000 che consegnammo in Cassazione. Verrà il tempo della ricostruzione delle responsabilità. Di chi ha lavorato troppo da vicino per incoraggiare il clima favorevole al no della Corte ai cittadini fino ad annunciarne in anticipo la sentenza. Di chi, dopo il rigetto del referendum, ha assicurato che, nonostante il No della Corte, i partiti avrebbero corrisposto alla domanda che avevano manifestato aggiungendovi in omaggio, “per rovinarsi” come è uso tra i piazzisti, anche le riforme istituzionali. Di chi, da destra e sinistra, per coprire la comune intenzione di tornare al passato, ha rinfrescato e inventato “doppi turni” e “semipresidenzialismi” giusto per farsi un alibi da lasciare alla Storia. Quello che non possiamo dimenticare è che se la decisione fosse stata lasciata ai cittadini già da quattro mesi il sangue della democrazia avrebbe ripreso a rifluire consentendo e costringendo i partiti a pensare le alternative da proporre al voto dei cittadini, e non invece a continuare a sospendere oggi la democrazia per poter continuare a sospenderla domani. Quello che poi non può non lasciare allibiti è che, dopo che al tavolo ABC tutto è stato preso in considerazione all'infuori della proposta dei cittadini, il ritorno al Mattarellum possa essere oggi ripescato solo dopo che si è assicurati dagli altri il suo rifiuto. Ripescato come una bandiera da sventolare liberi da ogni responsabilità in una calcolata sconfitta. Sembra appunto questa la proposta annunciata all'ultima riunione della Società Italiana di Scienza Politica nientedimeno che a nome delle firme del referendum da Violante, lo stesso Violante che aveva messo la sua competenza al servizio del No al referendum, e la sua penna al servizio della stesura di quella bozza dalla quale è partita questa sciagurata marcia verso il ritorno al passato. Resta tuttavia che a un anno dalla raccolta delle firme e a pochi mesi dalle prossime elezioni, l'alternativa a noi di fronte è restare al Porcellum o tornare al bel tempo della Prima Repubblica attraverso piccole correzioni di esso. Se questo fosse l'esito non è certo a Casini che i cittadini dovranno chieder conto, al Casini che da sette anni persegue in modo trasparente l'obiettivo della Prima Repubblica.

E neppure al Berlusconi di oggi che, consapevole della sua sconfitta, difende come Casini al tavolo della consociazione la sua porzione. E neppure, come ha scritto Europa, “agli astuti manovratori che all'interno del Pd hanno lavorato per consegnare il partito alla pura e semplice geometria delle alleanze su due fronti” perché anche questi perseguono da sempre lo stesso obiettivo, anche se senza la trasparenza di Casini. È alla segreteria del Pd che alla fine sarà presentato il conto, che invece di lavorare tra i cittadini a costruire una coalizione in condizione di offrire, dopo la sconfitta di Berlusconi, un’alternativa di governo è costretta a subire le scelte del suo alleato di centro sia per quel che riguarda le alleanze sia per quel che riguarda le regole della democrazia.

Arturo Parisi - 18 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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