MOVIMENTO A STRAPPO
Dibattito sul Favia fuorionda. Pizzarotti sta con lui Il consigliere emiliano contro i due guru del movimento, che rispondono: “Mai definito liste elettorali né infiltrato candidati”. Il sindaco di Parma: “Ora serve un’assemblea per parlare tra noi”
Della confessione rubata di Giovanni Favia, volta a tratteggiare Gianroberto Casaleggio come
una sorta di Himmler della Nuova Era, sono importanti luogo, tempi e personaggi. Favia è il protagonista del primo boom elettorale del Movimento 5 Stelle. In Emilia Romagna, terra immediatamente ricettiva per la democrazia diretta (vera o presunta) vagheggiata da Beppe Grillo. Regione iperalfabetizzata, colta, adusa al web e più sensibile di altre nel percepire lo smottamento della delusione da sinistra: il grande Partito comunista, il piccolo Partito democratico.
Nel mezzo, il Movimento 5 Stelle. Che proprio il 5 giugno – giorno dell’intervista trasmessa due sere fa da Piazzapulita – ha appena visto la vittoria di Pizzarotti a Parma. Ma anche l’espulsione di Valentino Tavolazzi. Grande amico di Favia. Che lo vede piangere e si inalbera ancora di più con Casaleggio. Di lì a poco, altri casi di scomuniche. Reali o inventate. Sempre in Emilia. Gli scissionisti di Cento. Filippo Boriani, eletto in un quartiere a Bologna, allontanato perché già candidato coi Verdi nel ’96 e 2000. Norma non necessariamente condivisibile, ma tra le poche linee-guida richieste per candidarsi (essere incensurati; risiedere nel comune di elezione; non avere avuto precedenti incarichi di partito).
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Giovanni Favia e Beppe Grillo |
Non stupisce poi che “il primo caso Scilipoti” del M5S sia Favia. Grillino atipico, griffato, dichiaratamente carrierista. Al punto da pagarsi i passaggi televisivi. O da mettere in discussione – per interessi personali e con polemiche furibonde – il limite dei due mandati. Il tema della democrazia interna è il nervo scoperto del M5S. Roberto D’Agostino, giovedì in diretta, ha giustamente sottolineato il paradosso sotteso a questa fregola del fare le pulci a Grillo. È vero che un caso Casaleggio, a destra, non avrebbe neanche fatto notizia. Come è vero che, da sinistra, è difficile recepire lezioni sulla tolleranza al dissenso interno (il sindaco di Belluno cacciato, il fastidio per l’ascesa di Renzi neanche fosse Bakunin, la ghettizzazione di Civati, eccetera). Oltretutto il Pd ha sempre avuto spin doctor, solo che non li ha mai avuti bravi come Casaleggio (al massimo un Velardi).
In un paese normale, quello di Favia sarebbe derubricato a sfogo privato (vecchio di tre mesi) di un “dipendente” frustrato nei confronti del “datore di lavoro”. Pagliuzze rispetto alle travi della politica politicante (che tanta stampa, la stessa che ora festeggia per l’harakiri grillesco, non vuol vedere). Sbagliato, però, sottovalutare il caso. Che non sposterà milioni di voti, ma presenta almeno due criticità. Il Movimento 5 Stelle si presenta come forza diversa, iperdemocratica, pura: per questo deve accettare il continuo fuoco di fila – anche scorretto – e per questo non può alimentare dubbi sul suo candore. Al tempo stesso, l’elettore grillino è esigente. Anzitutto il suo nucleo storico, costituito dal deluso di sinistra. Non fa sconti, tanto ai rivali (per questo non vota più Pd) quanto a chi è provvisoriamente depositario del suo favore elettorale (il M5S). Se delude la Littizzetto, pazienza. Se delude Luttazzi, è gravissimo. Se sbaglia Bersani, è normale. Se sbaglia Grillo, il perdono non è scontato.
Il Movimento 5 Stelle è attraversato da contraddizioni pulsanti. Il veto di andare in tivù, che peraltro – a giudicare dall’errore di Favia – sembra più un obbligo che una tecnica. La dialettica tra base (teoricamente dominante) e diarchia Grillo-Casaleggio (necessaria per organizzare e gestire, irricevibile se tracima nel dominio). Il fastidio per un “megafono” che, ultimamente, attacca un giorno sì e l’altro pure qualsiasi avversario: da Renzi a Bersani, da Benigni ai fomentatori d’odio. Grillo è aiuto o zavorra, padre nobile o padrone, guitto irrinunciabile o agitatore confuso? E poi, e soprattutto: chi andrà in Parlamento? Lo sceglierà una piattaforma web? Primarie della Rete? O sarà Casaleggio, la “mente fredda e coltissima” (è un difetto?), a “infiltrare ” le liste con suoi adepti? Penne impazzite e comici involontari, oltre al Favia fuorionda, tratteggiano – ipereccitati – scenari postbellici: minacce via mail, punizioni (corporali?), metodi zdanovisti (care a certa intellighenzia). Viene da ridere. Ma i problemi ci sono. Pizzarotti ieri l’ha ammesso: “Un’assemblea del Movimento ci farebbe bene, se ci sono guai sarebbe meglio parlarne tutti insieme”. Lo stesso Favia, pur scusandosi via Facebook per le sue parole (“É stato un grave errore lasciarmi andare a uno sfogo privato e scomposto, con un cronista di cui mi fidavo), ha messo il dito nella piaga: “Nel mio sfogo, parlando di assenza di democrazia, non attaccavo il Movimento ma un problema che oggi abbiamo e che presto dovrà risolversi: la mancanza di un network nazionale dove poter costruire collettivamente scelte e decisioni. Se i miei elettori vorranno, mi dimetterò”.
Il Movimento 5 Stelle, in virtù della sua storia (acerba) e delle sue ambizioni morali (altissime), non può permettersi di minimizzare.
Andrea Scanzi - 08 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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