domenica 9 settembre 2012

Anticorruzione, Napolitano non sa (di Antonio Di Pietro)


Il presidente Napolitano ha chiesto ai partiti di rafforzare le leggi anticorruzione per contrastare il fenomeno più efficacemente. Sta bene, ma qualcuno dei suoi consiglieri giuridici stavolta dovrebbe avvertirlo che la proposta di legge in discussione in Parlamento (e che la solita maggioranza Arlecchino si appresta a varare) si propone esattamente l’obiettivo
contrario. L’attuale proposta, infatti, prevede l’abolizione del reato di “concussione per induzione” e la sua sostituzione con quella di corruzione.

Come noto, la legge attuale prevede che il reato di concussione (vale a dire quel reato che compie l’amministratore pubblico o il pubblico ufficiale quando si fa dare denaro o altre utilità
Antonio Di Pietro
da chi si sente costretto a darglielo contro la sua volontà) possa verificarsi secondo tre modalità: a seguito di violenza, a seguito di minaccia, ovvero a seguito di induzione (vale a dire, appunto, a seguito di un comportamento concreto del pubblico ufficiale nei confronti del privato che – pur senza venire violentato fisicamente o minacciato – di fatto viene messo nella condizione capestro di doversi piegare al pagamento della tangente richiesta per non vedere boicottati i suoi diritti o le sue richieste). Orbene, è a tutti noto (e la miriade di casi scoperti nell’inchiesta Mani Pulite, e non solo, stanno lì a dimostrarlo) che di regola l’amministratore pubblico, o il politico o il pubblico ufficiale non ricorre alla violenza fisica o alla minaccia per costringere il concusso a pagare la tangente; ma ricorre appunto all’“induzione”, cioè proprio a quell’atteggiamento concreto (omissivo o attivo) che mette oggettivamente la parte debole di fronte all'aut-aut: “Mangiare quella minestra o saltare quella finestra”.

Il risultato pratico, quindi, dell’abolizione del reato di concussione per induzione e la sua trasformazione in reato di “corruzione” (così come prevista nella proposta di riforma attualmente in discussione in Parlamento) è solo quello di ricreare tra le parti (ovvero tra colui che pretende la tangente e colui che si rassegna a versarla) un “obbligo di omertà”: giacché nessuno (nemmeno colui che è stato “indotto” a versare denaro) avrebbe più interesse a denunciare l’altro in quanto – d’ora in poi – sarebbe anche lui considerato complice e quindi condannato penalmente. Insomma, mentre finora il privato che si sentiva vittima di un sopruso del politico-pubblico amministratore poteva ricorrere al giudice per chiedere tutela, ora non lo farà più perché altrimenti finirebbe – come direbbe mia sorella Concetta – “cornuto e mazziato”.

Dobbiamo allora domandarci: ma perché la politica vuole cancellare il reato di “concussione per induzione” dal codice penale? La risposta è elementare, Watson: perché così d’ora in poi gli imprenditori e i privati vittime di soprusi non avranno più interesse a correre dal giudice – come invece accadeva ai tempi di Mani Pulite – per farsi tutelare e difendere dai tangentisti, ma si rassegneranno a pagare in silenzio, per non subire guai maggiori e peggiori.

E così finalmente la politica potrà tornare o seguitare a rubare impunemente come ai bei tempi della Prima Repubblica, senza più nemmeno il rischio di essere scoperta. Non posso credere che il Capo dello Stato voglia tutto questo, quando dice che bisogna “rafforzare la legge anticorruzione”. Ma allora stavolta stia attento e rifletta bene quando gli arriverà la nuova legge sul tavolo per la sua controfirma, perché la proposta attuale – se resta così – raggiunge l’obiettivo opposto a quello da lui auspicato.

Antonio Di Pietro - 09 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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