venerdì 11 maggio 2012

Nessuno si candidi (di Nando dalla Chiesa)

Dunque siamo tornati al ’92? Tanto rumore (e tanto strazio delle istituzioni e del paese) per nulla? In un certo senso sì. La Prima Repubblica non se ne era mai andata. Si era acquattata dietro la sua coda eversiva. Il suo cuore
non aveva mai cessato di battere. Era rimasto tutto: l’onnipotenza dei partiti, la loro avidità di risorse pubbliche, la commistione con l’informazione, la lotta contro il principio di legalità, gli inciuci mascherati con baruffe chiozzotte a uso di militanti e pubblico plaudente, la corruzione, la pretesa di autocrazia. Fino alla scomparsa delle preferenze e alla nomina dei parlamentari dall’alto. È stata una grandiosa operazione trasformistica che ha portato nelle istituzioni battaglioni di “facce nuove”, di “prestati alla politica” e di “giovani”, senza che la nomenclatura dei partiti uscisse mai di scena. Ora ci risiamo. Eppure non ci troviamo al punto di partenza. Qualcosa di nuovo, in mezzo ai miasmi e alla palude, c’è. E bisogna coglierlo. Conviene saperlo cogliere per tenere la bussola di fronte alla più classica crisi durkheimiana (quella che genera suicidi), davanti alla ripresa del terrorismo, alla potenza della ‘ndrangheta, all’esplosione della corruzione. E, ovviamente, alla marcescenza del sistema politico.

Anzitutto il Movimento 5 Stelle non è la Lega di allora. Chi lo dice non ha mai conosciuto il fiato pesante della prima Lega. Che non pensava ai diamanti e alla Tanzania, è vero; ma diffondeva razzismo, odio per i più deboli e trasferiva la cultura da bar nelle stanze del potere. Il Movimento 5 Stelle ha un’altra cifra civile. Il suo guru potrà straripare e uscire dai confini del (mai spregevole) politicamente corretto. Ma i candidati sono in genere giovani preparati, formati ai principi costituzionali, e perfino rispettosi nel dibattito (mentre io ricordo un leghista a Milano-Italia urlare un immondo “stai zitto scemo” ad Antonino Caponnetto). Anche molte delle liste civiche che si sono affacciate alla politica, e cito per tutte quella dei cassintegrati di Magenta, non hanno nulla del qualunquismo di allora. L’Italia si è riempita di queste esperienze negli ultimi anni mentre i talk-show televisivi ci proponevano implacabilmente sempre le stesse facce. Alle quali (in questo aveva una qualche ragione Silvio Berlusconi ) non è evidentemente bastato stare sempre in televisione per evitare il tracollo o la scomparsa. Sono emersi ovunque giovani molto lontani dai polli di allevamento dei partiti. Giovani svegli, combattivi, disposti a rischiare una sconfitta. E bravi assessori, iscritti ai partiti tradizionali ma capaci di immettere nella vita pubblica generosità e competenze ignote ai loro dirigenti. Il fatto è che partiti vecchi e ammuffiti non sono in grado, come si è visto, nemmeno di ringiovanirsi. Perché anche in questo vince la loro (decrepita) cultura. La prova regina la si è avuta a Palermo, dove il vecchio leone Orlando ha travolto tutti per poi festeggiare con la celebre (e bellissima) frase di Picasso: “Ci vuole molto tempo per diventare giovani”.

Non siamo al ’92. Un popolo immenso ha scelto di militare stabilmente dalla parte della legalità. Basta ricordare la straordinaria partecipazione, specie giovanile, di Libera a Genova il 17 di marzo, alla quale non per nulla non partecipò alcun leader di partito, né di primo né di secondo livello. L’informazione viaggia, carica di curiosità e di ironia, in Rete, trasformando in gnagnera quella televisiva. L’esperienza consegna però ai cittadini democratici soprattutto un vantaggio rispetto al ’92. Quello di avere già visto la formidabile capacità camaleontica dei partiti, la loro disinvoltura nell’arruolare le risorse migliori della società civile a forza di “c’è bisogno di gente come te”, e di “bisogna sporcarsi le mani”. Per poi farne polpette e perpetuare il potere dei vecchi gruppi dirigenti. Oggi, dopo il lungo e amaro ammaestramento, bisogna chiedersi se di nuovo si debba tenere artificialmente in vita un’élite di persone senza sangue e senza carisma.

Infallibili nel trovarsi dove non c’è la gente e nel mancare dove la gente c’è. Ecco dunque la proposta: nessuno si candidi in questo contesto se da quei partiti non giungono gesti rivoluzionari. Se non si fa una nuova legge sul finanziamento dei partiti, se non si reintroducono le preferenze, se non si pone un tetto ai mandati per tutti, se non si vieta la candidatura ai rinviati a giudizio, se non si vota una legge per bloccare i tempi della prescrizione al momento in cui si avvia il processo. Così come siete non ci avrete: questo dovrebbe essere il “severo monito” popolare . Qualunquismo? Spirito antipartito? No, è l’unica cura possibile per chi proprio non ne vuole sapere di non suicidarsi. Era comodo quando la protesta si limitava all’astensione. Perché, a parità di percentuali, i seggi restavano gli stessi. Ora cambiano invece proprio i seggi. E cambieranno ancor di più quando arriveranno le liste bloccate. Lo capiranno?

Nando dalla Chiesa - 11 maggio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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