domenica 29 aprile 2012

Cala, Trinchetto (di Marco Travaglio)

È un vero peccato che non ci fosse una candid camera al Quirinale per immortalare l’incontro dell’altroieri fra Napolitano e il Cainano scortato dalla badante Letta. Pare infatti che il vecchio puttaniere, quello che si vanta di
mantenere “42 ragazze rovinate dalla Procura di Milano per la sola colpa di venire a cena a casa mia”, abbia intonato il solito pianto greco sulla persecuzione giudiziaria ai suoi danni e abbia chiesto un salvacondotto al Presidente. È il suo bello. Tutto, intorno, cambia: Spagna, Olanda, Francia. Lo spread è di nuovo a mille. Siamo i peggiori d’Europa per tasse e stipendi. I partiti sfiorano quota zero di consensi, mentre la crescita dell’economia è abbondantemente sottozero. Ma lui di queste quisquilie non si cura: lo annoiano. Si accende solo quando parla di processi: i suoi. È come quei vecchietti un po’ rinco e molto fissati, che ogni mattina entrano al bar e attaccano sempre la solita pippa sul vicino di casa che alza il volume della tv apposta per non farli dormire, mentre gli altri avventori, fra un risolino ironico e una gomitata ammiccante, sibilano: “Cala, Trinchetto!”. La fissa del Cainano è l’eterno complotto mediatico-giudiziario, che lui lamenta con chiunque incontri per la strada.
All’ultimo G8 ne fece partecipe un attonito Obama, tra le risate a stento trattenute di Sarkò e Merkel. Ora, narra il Corriere, è toccato a Napolitano sorbirsi la solita geremiade contro l’“accanimento” di “certi pm che tornano a indagare su di lui, prendendo per buono quel che dice il primo che passa per la strada” e dei “giornali che hanno ripreso a frugare nella sua vita privata e a pubblicare intercettazioni”, ragion per cui urge una bella legge bavaglio. Il Pompiere affranto descrive la sua “amarezza” per l’“accerchiamento giudiziario” nonostante “il suo passo indietro per senso di responsabilità e nell’interesse del Paese”. Naturalmente tutti, pure il capo dello Stato, sanno benissimo che B. a novembre non fece alcun “passo indietro”: dovette dimettersi perché non aveva più la maggioranza alla Camera e stava per essere sfiduciato, mentre l’Europa lo considerava il primo problema dell’Italia e, se obbedì a un qualche “interesse”, fu a quello delle sue aziende che precipitavano in Borsa. E tutti sanno bene che indagini e processi, con relative cronache dei giornali, non c’entrano nulla con la politica né col Quirinale: dipendono dai reati commessi e lui, modestamente, continua a farne di cotte e di crude, corrompendo testimoni a destra e a manca. Ma, anziché rammentargli questi piccoli dettagli, pare che Napolitano l’abbia ascoltato in silenzio, senza proferire verbo, contentandosi della promessa di sostenere Monti fino al 2013. Magari, se gli avesse dedicato un monito prêt-à-porter contro “i demagoghi di turno”, non avrebbe guastato: se Grillo è un demagogo, che si dovrebbe dire di B. e di Bossi? Ma il capo dello Stato è fatto così: critica solo chi lo critica. Chi invece parla bene di lui può fare e dire ciò che vuole, anche proclami eversivi, anche leggi incostituzionali, persino annunci di secessione armi in pugno, e non accade mai nulla. E poi non bisogna indispettire il Cainano che, non dimentichiamolo mai, è l’unico leader indispensabile per la sopravvivenza di Monti, visto che controlla tutt’oggi la maggioranza parlamentare: se viene meno il Pd o il Terzo Polo, il governo numericamente resta in piedi; se viene meno il Pdl, cade. È per questo tragico equivoco che, dinanzi al Cainano, Napolitano tace: è stato lui a decidere che, per portare l’Italia fuori dal baratro, non occorresse una maggioranza eletta fra i partiti che non avevano portato l’Italia nel baratro; ma un governo tecnico senza passare dalle urne, ricattato ogni giorno dagli stessi che ci hanno trascinati nel baratro. Il che spiega perché siamo sempre nel baratro: continuiamo ad affidare la soluzione dei problemi a chi li ha creati.

Marco Travaglio - 29 aprile 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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