venerdì 19 ottobre 2012

Un altro morto di fame (di Rita Pani)


Stiamo solo rimandando l’inevitabile, tutto questo nostro stato potrà finire solo con una guerra. Ce lo dice la storia, ma noi fingiamo di non saperlo per poterci ancora illudere che domani tutto passerà e che questo tempo della barbarie e del decadimento, diventi solo un ricordo.
La civiltà incivile che ci ha evoluti ci tiene in questa specie di limbo, dove basta avere un
telefono cellulare di ultimissima generazione, un paio di scarpe alla moda, i capelli tagliati con la falciatrice e i jeans abbastanza rovinati da farci sentire parte integrante di un mondo che non c’è.
Ogni volta che un uomo muore per disperazione, che una madre si getta dal balcone col proprio bimbo in braccio, o che qualcuno s’impicca a un albero, magari guardando le mura di casa sua, un brivido ci corre lungo la schiena, il dolore ci pervade, e lo esaltiamo, quasi lo gustiamo, felicitandoci in segreto perché ancora non è toccato a noi.
Ci toccherà però. E ogni tanto è bene mettere disordine nel limbo, perché l’unica speranza che abbiamo, in fondo, non è altra che quella di non farci trovare del tutto impreparati quando questo capiterà. Tutti coloro che ancora si sentono al sicuro devono iniziare a far bene i conti, osservando le bollette che aumentano anche quando in casa ormai si vive con i lumini cimiteriali al posto delle lampadine. Con le lavatrici che vanno nelle tariffe ridotte. La macchina che continuiamo a utilizzare, ma con le code che facciamo per ore davanti ai distributori che espongono cartelli allettanti come quelli che una volta stavano nelle vetrine del centro città: “Sconti!!! – 15 centesimi hard self”. Nonostante tutto questo lo stipendio non basta più. Nonostante gli abiti usati, le scarpe da tennis che toglierai quando sarà il tempo degli stivali, le mutande comprate a un euro al paio al mercato. Nonostante si guardi al termosifone come ad un miraggio, cedendo alla tentazione di scaldarsi, quasi fosse un regalo o una gratificazione.
Ogni volta che un uomo muore per disperazione c’è chi si sente fortunato per avercelo ancora un lavoro, e poco importa che la paga sia sempre la stessa da dieci anni, e le ore siano diventate di più. Poco importa se un giorno il tuo capo ti ha chiamato per dirti che, se avresti voluto continuare a lavorare avresti dovuto guadagnare di meno. Non fa nulla se lo straordinario non è più pagato, se della pensione non hai certezza. Pochi, maledetti e subito! Questa è la regola della sopravvivenza che ci ha resi schiavi, e che ha garantito agli schiavisti di arrivare fino alla proposta indecente: “Tu intanto inizia a lavorare gratis, poi se rendi, qualcosa te la darò.”
Poi la gente muore, perché si dà fuoco o perché s’impicca. I più fortunati tra loro muoiono subito, altri vengono soccorsi perché la loro agonia si prolunghi in questo stato che alla vita umana ci tiene assai, e di morire per mano tua te lo proibisce. Puoi essere ucciso dalla fame, e avrai dignità. Ma non t’azzardare a scegliere di andare, che Dio non vuole e il governo neppure.
Dicono che quando un disoccupato sceglie di morire io devo tacere, perché in fondo ho un compagno col quale vivo che ancora lavora. Ma io non taccio perché di impiccarmi ci ho pensato un’infinità di volte, e ancora a volte mi ritorna, quando a 48 anni devo ricordare con pudore a lui che solo il tabacco mi deve comprare. Dicono che devo tacere quelli che hanno scordato il concetto di dignità, e magari anche quelli che sensibilmente lottano in difesa della donna, che se nessuno la abusa ci pensa la vita, a farlo. Io so che ho imparato a fare senza, che quest’anno ho scritto un’infinità di parole, ma ho guadagnato solo 100 euro, che per fortuna mia figlia ha un padre –stronzo che sia – ma ce l’ha. E a quella più grande ci ha pensato la fatica di mio padre.
Io non taccio perché di morire ci penso ancora, ma una cosa la so: se dovessi riuscire a arrivare fino al Quirinale, me ne andrei in compagnia. Finirà solo con una guerra, sì. Ma anche quella lasceremo che siano loro a decidere chi la debba cominciare. Piangiamo il morto altrui e fingiamo di sorridere; qualcosa per cena la rimedieremo anche oggi.
… son solo cose sconclusionate, lo so; a volte capita anche a me.

Rita Pani (APOLIDE) - 18 ottobre 2012 -
R-ESISTENZA-INFINITA
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