mercoledì 19 settembre 2012

LA QUESTIONE È IMMORALE (di Oliviero Beha)


Lo sappiamo, il diavolo si annida nei dettagli. E parrebbe un dettaglio, nel marasma generale che sta travolgendo la cosiddetta politica tradizionale, quello che ho letto giorni fa su La Stampa. Il presidente del consiglio regionale del Lazio, dove è in pieno e farsesco svolgimento la telenovela Polverini alias “sala Pichetti” (leggendaria e trucibalda pista da ballo
capitolina...), Mario Abbruzzese, intervistato sull’altra vicenda delle autoblu con autista a spese ovviamente del contribuente ha risposto: “Di autoblu ne ho una e non due (come accusa il suo vice, ndr), e poi si tratta di un mio diritto. Uno dei benefit che spettano alla mia carica istituzionale”. Perché e dove si anniderebbe il diavolo in quello che certamente è un dettaglio in un Paese che quotidianamente soffre di scandali che toccano la politica, con un elenco lunghissimo di indagati e dunque una monumentale “questione penale” che rimanderebbe a detta di molti a una ancora più macroscopica “questione morale”? Che ce ne
Nanni Moretti nel film "Il portaborse"
frega di quello che dice Abbruzzese, di una o due autoblu nel “magna magna”, se non è un Fiorito/Batman o prima un Lusi o ancor prima un Penati ecc., e quindi almeno per ora non è materia da Procura della Repubblica? Ebbene, il nocciolo o il diavolo è proprio questo: da quanto tempo non esiste più in Italia una “questione politica”, cancellata com’è stata dalla “questione penale” immediatamente e confusamente subito ricondotta alla “questione morale”? Dalla sentenza Andreotti, che ormai troppi anni fa ha costituito un specie di spartiacque, di qua il penale, di là il politico, se Riina ti bacia è un reato altrimenti è tutto a posto? Da quanto tempo il mantra di ogni politico che si rispetti, di stampo mediatico nazionale oppure locale, si riduce alla domanda pubblica “Dov’è il reato?” se c’è qualcosa che non va che lo riguardi? Con la conseguenza non ultima che poi si imputa alla magistratura di volersi sostituire alla classe politica “facendola fuori penalmente”. A parte il solito discorso sul fatto che sarebbe meglio occuparsi dei reati ipotetici commessi e non della volontà dei giudici di attribuirli per fini politici eversivi, resta fuori da tutto ciò lo specifico della politica. Ciò che differenzia un rappresentante del popolo da un professionista o lavoratore qualunque, un eletto da un elettore, un uomo politico da un cittadino qualunque. Ossia la responsabilità politica dei propri atti, compresa l’autoblu di Abbruzzese. Che è certo un benefit istituzionale, ma vissuto come un privilegio assai pesante politicamente nei confronti di un’opinione pubblica in piena crisi, scandalizzata dall’insensibilità dei propri rappresentanti. Questa palese insensibilità non è un fattore penale, né estetico cioè di gusto, né etico se non a un livello più profondo. È un colossale fattore politico. Come è una questione politica in senso pieno, cioè di una politica vuota che si riempie d’altro misurandosi solo sul suo coinvolgimento penale per dire appunto che “non c’è il reato”, la notizia di ieri che i partiti si negano alla certificazione esterna dei loro bilanci da parte della Camera. Ed è politicissima sia pure in senso mediato la mobilitazione dei dipendenti del Senato che vogliono evitare che si blocchino i loro scatti in busta paga... Sacrifici sì, ma per gli altri... La morale lasciamola fuori anche se ovviamente una politica senza morale finisce come sta finendo la nostra. Restiamo alla politica. Che si è dissolta da quando assistiamo a questo precipizio della responsabilità specifica mascherata da “questione penale”. Da quando tutto si è spostato sul terreno della legalità, del reato-non reato, delle aule di tribunale sovrimpresse neppure simbolicamente a quelle parlamentari. Da quando si ragiona solo di reati e sempre meno di responsabilità e dignità della politica. E ci si stupisce che Grillo cresca nei sondaggi, nel vuoto circostante?

Oliviero Beha - 19 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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