COCILOVO: “NON STA A ME DIRE SE IL CARCERE SIA GIUSTO, MA QUEL DIRETTORE HA CONTINUATO A DIFFAMARMI”
"Il carcere? Non sta a me stabilire se la legge sia giusta o la pena adeguata. Mi preoccupa che, nel dibattito di questi giorni, nessuno abbia sentito il bisogno di ricostruire i fatti, perché
qui la libertà di stampa c’entra poco o nulla”. Giuseppe Cocilovo, il giudice tutelare di Torino che ha ottenuto la condanna di Alessandro Sallusti, abbandona il riserbo degli ultimi giorni e affronta deciso il momento di notorietà che suo malgrado si trova ad affrontare. Ed eccoli, i fatti: “Era il 17 febbraio 2007. La Stampa – racconta Cocilovo – parla di un giudice che avrebbe ordinato a una minorenne di interrompere una gravidanza. Trovo la notizia assolutamente folle e non posso sospettare che parli di me. Lo capisco poi dalle telefonate dei giornalisti e dal pm che apre subito un fascicolo, a cui bastano poche ore per capire che la notizia di reato è inesistente”.
Renato Farina/Betulla |
Sembra impossibile che si possa pensare che un giudice abbia questo potere, ordinare un aborto e coinvolgere in questo disegno perverso ostetriche e ginecologi. Eppure di questo veniva accusato Cocilovo: “Non potevo far altro che querelare. Sarebbe bastata una rettifica, scrivere ‘la notizia riportata il 18/02/2007 a proposito del giudice che ordina l’aborto è falsa. Ce ne scusiamo con i lettori’, ma così non è stato”. Il processo arriva fino in Cassazione: “Prima dell’udienza – racconta il giudice – gli avvocati di Sallusti mi contattano per arrivare a una transazione. Io propongo di devolvere 20 mila euro in beneficenza a Save the Children. Ora leggo che Sallusti sostiene che avrei chiesto nuovi soldi per me. Sorvolo sul carattere ulteriormente diffamatorio di queste affermazioni, tanto le bugie hanno le gambe corte”.
Fa molto discutere che un giornalista rischi la galera principalmente per un articolo scritto da altri: “Vero, ma è credibile che il direttore non abbia coordinato la titolazione delle prime tre pagine? Perché il falso era già nel titolo. Era una chiara scelta editoriale. La violenta diffamazione che mi augurava la pena di morte, poi, era opera di un giornalista già radiato dall’ordine di cui si accettava la collaborazione. Bastava dar conto ai lettori dell’errore e tutto questo non sarebbe accaduto”.
Ma allora il carcere è eccessivo? “Non sta a me dirlo, ma questo non è un reato di opinione, è una diffamazione deliberata. Che la notizia fosse falsa era ormai noto, bastava leggere La Stampa. E poi – conclude Cocilovo – vorrei far notare che in tutta questa storia la vittima sono io. Renato Farina ha scritto nome e cognome, sono sull’elenco telefonico, per mesi sono stato minacciato e ho ricevuto telefonate anonime, per una diffamazione volontaria e deliberata. Cosa c’entra questo con la libertà di stampa”?
Stefano Caselli - 28 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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