giovedì 20 settembre 2012

COMBATTERE LE TANGENTI? MEGLIO DI NO (di Bruno Tinti)


IL “TRAFFICO D’INFLUENZE” BLOCCA IL DDL CORRUZIONE FAVORI TRA POTENTI
Ecco perché il Pdl non vuole la legge

Tutti ricordano la storia di Mancino (imputato per falsa testimonianza nel processo trattativa Stato-mafia), delle telefonate ai suoi amici e di come questi si sono attivati. D’Ambrosio, uomo di fiducia di Napolitano, che gli garantisce che il Presidente “ha preso a cuore la
questione”. Esposito, Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, che si dichiara “a disposizione” e dice di aver acquisito gli atti dei processi, che li studierà e gli “farà sapere”. Marra, segretario della Presidenza della Repubblica, che invia una missiva a Esposito in cui spiega che il Presidente intende “dissipare le perplessità che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini”. Ciani, altro Procuratore generale, che ordina a Grasso, Procuratore nazionale antimafia, di verificare se c’è stato mancato coordinamento tra le procure che si occupano delle indagini in cui è coinvolto Mancino e di fornire loro indirizzi investigativi (Grasso risponderà che il coordinamento c’è e che fornire indirizzi investigativi non è previsto dalla legge). Tutti ricordano soprattutto le telefonate tra Mancino e Napolitano su cui il Presidente della Repubblica ha innescato un disastroso conflitto istituzionale. Ebbene questa fattispecie, come si dice in giuridichese, potrebbe essere il prototipo del nuovo reato chiamato “traffico di influenze”.
Più o meno la nuova norma dovrebbe essere questa: chiunque, avvalendosi di relazioni esistenti con un pubblico ufficiale, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione, ovvero per remunerare il pubblico ufficiale, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente da o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale. La pena è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale”.

Veramente, nel testo originario non si parlava di “vantaggio patrimoniale” ma, del tutto ragionevolmente, di “altra utilità”, che corrisponde esattamente alla pratica quotidiana. Non è il denaro che gira ma i favori: oggi io aiuto te e domani tu aiuti me. Ma il Pdl è già riuscito nell’intento di ridurre di molto l’ambito di applicazione della nuova norma. E ancora non gli basta. Prima di tutto perché si tratta di un reato che riguarda i potenti. Raccomandarsi all’amico salumiere, di cui si è anche cliente, perché dia un salame di ottima qualità a una cara amica, facendogli capire che, se lo fa, continuerò a frequentare il suo negozio, ovviamente non integra questo reato. E quindi si capisce bene perché i politici e B&C in particolare, non ne vogliono sentir parlare: il traffico di influenze è la loro pratica quotidiana. E si capisce anche bene perché il testo originario conteneva una parola chiave: “utilità” e non parlava di vantaggio patrimoniale. Se ci rifacciamo alla vicenda Mancino-Napolitano presa ad esempio, è ovvio che nessuno dei personaggi che sono intervenuti o hanno promesso di intervenire è stato compensato o ha ricevuto la promessa esplicita di essere compensato con denaro. In questi casi, si è (appunto) “a disposizione”: oggi io sono a tua disposizione ma è chiaro, perché implicito nel rapporto tra potenti, che domani lo sarai tu. Ed è a questo atteggiamento che si riferiscono le parole “altra utilità”. Insomma, per semplificare – magari un po’ troppo – si tratta di favori tra potenti chiesti ed elargiti nella consapevolezza che, in futuro, quando e se sarà necessario (ma l’occasione arriva sempre) il favore sarà ricambiato.

Tutto chiaro? No, perché manca la cosa più importante: deve trattarsi di richieste e di favori illeciti, non dovuti. E qui sta il nocciolo del problema. Torniamo alla vicenda Mancino-Napolitano. Mancino dice a D’Ambrosio e (probabilmente a Napolitano) di essere vittima di un grave errore giudiziario e di essere perseguitato da Pm faziosi e incapaci. Non sa a chi rivolgersi e chiede aiuto a vecchi amici che ritiene abbiano il potere di intervenire: Napolitano è pur sempre il presidente del Csm; e il Csm ha poteri disciplinari sui magistrati. Nella stessa ottica telefona a un suo vecchio amico, Esposito (lo chiama “guagliò”); e questi, convinto che rientri nei suoi poteri sorvegliare che i magistrati delle Procure non facciano cose non dovute e/o sbagliate (va bene, per capirci, non facciano cazzate) promette di verificare , attivarsi, etc. Napolitano e Ciani, a loro volta convinti di adempiere a un dovere, si attivano allo stesso scopo. Insomma, tutto in buona fede. Traffico di influenze? Ovviamente no, anzi sensibilità istituzionale e adempimento di doveri.
Chi deve giudicare se i guagliò si mettono a disposizione per favorire illecitamente i loro potenti amici o se si adoperano nell’interesse della giustizia? Naturalmente, la magistratura . E così avviene nel resto d’Europa dove il traffico di influenze è considerato, da anni, reato. Il problema è che i politici italiani, prima di affidare ai giudici la decisione se i ginecologi Udeur erano raccomandati perché bravi come loro non ce n’era nessuno o perché erano amici della signora Mastella, faranno harakiri in diretta. E avrebbero anche ragione perché, senza traffico di influenze, resterebbero disoccupati.

Bruno Tinti - 20 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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