mercoledì 29 agosto 2012

Procreazione assistita: anche l'Europa boccia la legge 40 (di Luca De Carolis)


“Il divieto di diagnosi preimpianto viola i diritti”

Un’altra bocciatura, per una legge già (parzialmente) smontata da sentenze della Consulta. E una vittoria per Rosetta Costa e Walter Pavan, la coppia romana che aveva presentato ricorso ai giudici di Strasburgo: per i propri diritti, e per quelli del bimbo che vorrebbero avere.
Ieri la Corte europea dei diritti umani ha bocciato la legge 40 sulla procreazione assistita, nella parte in cui vieta la diagnosi preimpianto a una coppia fertile, ma portatrice sana di una malattia genetica: nel dettaglio, di fibrosi cistica.

Il caso di Costa e Pavan, che hanno una bambina di sei anni affetta da questa malattia ereditaria, da genitori che sono sempre portatori sani. La coppia si erano rivolti alla Corte nel 2010 attraverso l’avvocato Nicolò Paoletti, contro quella norma che sbarra il loro sogno di avere un altro figlio: sano. Strasburgo ha dato loro ragione , perché la legge 40 ha violato il loro diritto al rispetto della vita privata e familiare, “con un’ingerenza sproporzionata”. Non solo: secondo i giudici, “il sistema legislativo italiano in tema di diagnosi pre-impianto è incoerente”, in quanto un’altra legge, ovvero la 194, permette l’aborto terapeutico alle coppie
con fibrosi. Così, pollice verso per la legge 40, e condanna per lo Stato italiano, che dovrà versare a Costa e Pavan un risarcimento di 15mila euro per danni morali, più 2500 euro per le spese legali. Per fare ricorso contro la sentenza alla Grande Camera il governo italiano e le altri parti in causa avranno tre mesi di tempo, altrimenti la decisione diventerà definitiva. E il governo si dovrà adeguare, modificando la legge. “Medievale”, per tante coppie e giuristi, che la combattono da anni nei tribunali e nelle piazze. Ovviamente in festa per la decisione della Corte, che già anni fa si era espresso su quelle norme. Nel 2010, i giudici europei stabilirono che la fecondazione eterologa non si può impedire. L’anno dopo, la Grande Camera ribaltò la decisione. Ieri, la sentenza sulla diagnosi preimpianto.

Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, la commenta così : “Aspettiamo le motivazioni, ma la questione della compatibilità tra legge 40 e legge 194 sollevata dalla Corte di Strasburgo e un problema già noto. Ora serve una riflessione”. Soddisfatta la segreteria dell’associazione Luca Coscioni: “La nostra associazione, assieme a quelle dei pazienti e a 60 parlamentari , aveva presentato alla Corte di Strasburgo un intervento a sostegno del ricorso”. Un aiuto in più per la coppia, aggrappata alla speranza di sorridere a un altro figlio che non abbia quella maledetta malattia. La fibrosi cistica concede un’aspettativa di vita tra i 40 e i 50 anni. Chi ne è affetto, è costretto a passare buona parte dell’esistenza tra terapie e trattamenti, talvolta molto dolorosi. Ogni anno in Italia ci sono 200 nuovi casi. Bimbi che entrano di continuo in ospedale. Bambini come la figlia di Costa e Pavan. Una coppia affetta da fibrosi ha il 75% di possibilità di avere un figlio con la malattia. Costa e Pavan ci avevano comunque provato. Ma il feto che due anni fa lei aveva in grembo aveva la malattia. E ricorsero all’aborto terapeutico, come consentito dalla 194. Ora vogliono riprovarci, con la fecondazione omologa. Ma desiderano cautelarsi con la diagnosi preimpianto, che permette di scoprire malattie genetiche o alterazioni crosomiche in embrioni in fasi molto precoci di sviluppo, prima del loro impianto nell’utero. Un esame, che può evitare un dramma come l’aborto. Eppure vietato a Costa e Pavan dalla legge 40, che la consente solo alle coppie sterili. Così i due si sono rivolti alla Corte di Strasburgo. E hanno vinto. Un risultato su cui incombe la minaccia di ricorsi, contro una sentenza che assesta un altro scossone alle norme sulle procreazione assistita: già cambiata dalla Corte Costituzionale.

Nell'aprile del 2009, la Consulta aveva dichiarato parzialmente illegittimi i commi 2 e 3 della legge 40. Il comma 2, laddove prevedeva un limite di produzione di embrioni “comunque non superiore a tre” e l’obbligo di “un unico e contemporaneo impianto”. Mentre il 3, che prevede di poter crioconservare gli embrioni, è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non prevede che il trasferimento di tali embrioni, “da realizzare non appena possibile”, debba essere effettuato anche senza pregiudizio per la salute della donna.

Luca De Carolis - 29 agosto 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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