mercoledì 29 agosto 2012

OGNUNO È LA SUA STORIA (di Ascanio Celestini) + video


“Nonna raccontava delle streghe, papà della guerra 
Poi non ho più smesso di ascoltare”

L’attore, regista e scrittore Ascanio Celestini è tra i protagonisti della nona edizione del Festival della Mente ( festivaldellamente.it  ), che si apre a Sarzana venerdì. Anticipiamo
parte dell’intervento di Celestini, in programma sabato 1 settembre, intitolato “Come nascono le storie”

La fine del mondo c'è sempre stata. Che altro vuoi che abbiano pensato gli Incas o gli Aztechi di fronte ai conquistadores spagnoli, questi marziani piovuti da chissà dove, se non che era la fine del mondo? Ma cos’è la fine del mondo se non sempre la fine del proprio mondo?”. Lo dice Ernesto De Martino che fu una rivelazione quando all'università scoprii che l'antropologia non era solo il passatempo di un gruppo di signori col papillon che andavano a misurare il cranio agli africani, ma un modo per rimettere insieme i pezzi della propria storia, della propria visione del mondo. Così per fare anche io l'antropologo sono andato a registrare mia nonna che raccontava storie di streghe. Erano storie di donne che le donne raccontavano
Ascanio Celestini
tra di loro in un tempo e in uno spazio femminile. Le sue streghe non erano quelle cattive del Malleus Malefica-rum , ma donne che avevano poteri straordinari. Donne che si emancipavano senza doversi trasformare in uomini. All'interno di un universo ancora tutto femminile fatto di pentole e scope, di aghi e fili, ma soprattutto in una visione del mondo femminile assolutamente non subalterna esplodevano invadendo il mondo maschile. Poi ho registrato le storie di mio padre. Erano storie di guerra, ma soprattutto di ragazzini. Aveva otto anni quando gli americani hanno bombardato San Lorenzo e stava per compierne nove quando Roma è stata liberata. E poi quelle di operai, minatori, contadini, operatori di call center... Ma quando mi sono preso due ore per ascoltare le storie di mia madre è stata lei a spiegarmi a cos’altro serve raccontare . Alla fine della registrazione m'ha detto “e poi sono contenta perché siamo stati due ore insieme”. Non lo so da dove nascono le storie, ma nascono anche per questo motivo. Insomma, mi pare che tutti raccontino e non hanno alcun bisogno di storie e di tecniche speciali. Raccontano e basta. Alcuni raccontano poco, ma lo fanno anche loro. Altri raccontano pochissimo per un bel pezzo della loro vita e poi gli succede qualcosa. Tirano fuori il racconto un po’ come quei martelli che servono in caso d'emergenza a rompere un vetro. Per loro il racconto non è una questione letteraria, ma un oggetto concreto.

Non so come si dice in tutte le altre lingue, ma in italiano noi diciamo le cose. Così dice anche mio figlio di cinque anni “papà, ti devo dire una cosa”. La usiamo tantissimo questa parola. Facciamo una cosa, vediamo una cosa, mangiamo una cosa. E soprattutto diciamo una cosa.

Il quartiere Tamburi di Taranto è a ridosso dell'Ilva. In quelle case si lavano le lenzuola, si mettono ad asciugare e quando sono asciutte, si toglie la polvere rossa e si rimettono nei letti. Si vive con la morte nell'aria. La morte è una cosa che ha una consistenza e persino un colore. Però quell'azienda polverosa fa lavorare ventimila persone. Me lo dice un sindacalista Fiom all'inizio di agosto quando vado in Puglia a fare spettacolo. E lo ripetono in tanti, ministri compresi. Prima di salire sul palco passo accanto a una signora che dipinge un quadro. “È preso da una fotografia” dice “la foto del nostro furgone, quello che abbiamo usato il 2 agosto quando siamo andate a parlare sul palco dei sindacati”. Fa parte di un coordinamento, i Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti.

Si incontrano tutti i mercoledì al quartiere Tamburi. “Non vogliamo più scendere a compromessi. Vogliamo partecipare alle scelte che riguardano la nostra città. Da settembre si aprirà una sede dove si cercherà di fare anche attività ricreative e culturali indirizzate ai ragazzi che comunque non continuano gli studi perché c’è anche un alto tasso di dispersione scolastica”. Incomincia lei, poi si avvicinano due ragazze, poi un'altra ancora, poi uno che chiedeva un autografo e mi pare che dopo aver parlato mezz'ora... manco gliel'ho fatto.
Sono tutte persone che raccontano storie perché hanno bisogno di dire cose. Perciò se mi chiedono come nascono le storie, io non lo so. Ma so che ne abbiamo bisogno perché è il nostro modo di stare nel mondo. Perché finché abbiamo parole per dirlo, forse il mondo non finisce. Se finiscono le parole, non sappiamo più come recuperare le cose.

Ascanio Celestini - 29 agosto 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf

Ascanio Celestini - Paese di merda!
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