venerdì 8 giugno 2012

Un pensiero agli assassini (di Rita Pani)

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Il Presidente della Repubblica, in un messaggio alla Festa della Marina sui militari detenuti in India: «Rivolgo un pensiero a Latorre e Girone costretti lontano da Italia e dagli affetti»

È un classico esempio di quando lo zelo fa perdere a qualcuno l’occasione di tacere. Così a memoria, mi verrebbero in mente tanti altri pensieri da rivolgere non agli assassini, ma agli assassinati, dallo stato, dalle stragi di stato, dalla polizia di stato, dai sicari al governo dello stato. Ma sarebbe demagogia spicciola, ci hanno insegnato.

Fuori dalla questura di Lecce, dicono le cronache, la folla inferocita si è radunata facendo finta di credere che sia veramente possibile linciare un assassino. In realtà son là solo per curiosità, come si usa in questa Italia disabituata all’arte e ai musei, che preferisce recarsi in gita sulle “scene del crimine” dove se hai culo è ancora possibile vedere il sangue secco sull’asfalto, la villa dove la madre ha massacrato il bambino, il pozzo dove lo Zio Michele ha gettato la bimba. Tutti vogliono vedere l’assassino, tutti vorrebbero staccarne un brandello (un souvenir?) mentre lo stato garantisce: “giustizia sarà fatta.”

Nel frattempo, lo stesso stato ci rassicura: i due marò torneranno a casa. I due assassini, oserei dire io, nella mia logica demagogica, che preferisco definire coerente buon senso. Due assassini in divisa, ricordiamo, che sotto la bandiera della marina italiana, pagati dallo stato italiano, scortavano il prezioso carico di una petroliera. Due assassini con licenza di uccidere, che hanno tolto la vita a due innocenti pescatori, due padri di famiglia, due vite umane impegnate a garantire l’esistenza dei propri congiunti.

A volte, signor Presidente, si potrebbe anche tacere, così come fate ogni volta che la vostra voce sarebbe gradita. Quando dopo i fatti di Genova, per esempio, si promuove il capo della Polizia, che pare non sapesse cosa facevano le orde di barbari da lui comandati. O quando muore Stefano Cucchi, caduto dalle scale o che forse si è lasciato morire per la sua anoressia. O quando lo stato uccide un uomo per bene, impedendogli di lavorare e di sopravvivere dignitosamente.

L’assassino è un assassino. La morte è morte. Nessuna divisa e nemmeno il petrolio possono giustificare l’omicidio di un innocente. Nemmeno la follia, la perversione, la cattiveria, l’odio, la gelosia. Solo la guerra potrebbe, ma nemmeno quella esiste più. Siete andati oltre, voi: uccidete in nome della pace.

Rita Pani (APOLIDE) - 08 giugno 2012 -
R-ESISTENZA-INFINITA
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