In una stanza di Montecitorio, il 19 aprile 2012, i deputati e funzionari ucraini che hanno chiesto con urgenza un incontro con i deputati italiani, sono già seduti intorno al tavolo del presidente della Commissione Esteri. Sono dodici persone, uomini e donne, con la faccia da film. Intendo dire: sono esattamente quelli che
sceglieresti se dovessi fare un film sulla gente che ha messo in prigione e tiene in prigione e fa aggredire e picchiare di notte il loro ex Primo Ministro, Julia Tymoshenko, che era capo della opposizione quando è stata arrestata, ed è stata condannata in poche ore a sette anni di reclusione. I deputati e funzionari (credo poliziotti) del governo che hanno incarcerato la Tymoshenko sono incattiviti e non hanno alcuna intenzione diplomatica di nasconderlo (il loro ambasciatore a Roma è di pietra, solo un giovane funzionario è normale e gentile).
Uno dopo l'altro sono qui a dirsi offesi (offeso il loro Paese) per avere accolto e ascoltato al Parlamento italiano la figlia della loro prigioniera. Lo dice con particolare acredine, con una fitta ripetizione delle sue ragioni, la onorevole Olena Bondarenko. Ho guardato il curriculum. Olena Bondarenko, oltre che deputato, è primo vicepresidente della Commissione sulla libertà di espressione e di informazione, e presidente della sottocommissione sulle trasmissioni radiotelevisive.
Chiedo alla onorevole Bondarenko di informarci sui delitti della prigioniera Tymoshenko.
Prontamente elenca un trattato “sbagliato” con la Russia e alcuni accordi internazionali che avrebbero potuto recare danno alla Repubblica ucraina. Ci chiede di unirci alla condanna della ex primo ministro ucraino, ora capo dell’opposizione “traditrice e giustamente carcerata”.
Tocca a me fronteggiarla perché sono stato io, insieme ai deputati Vernetti e Mecacci, a invitare Eugenya Tymoshenko, figlia di Julia, al Comitato per i Diritti Umani della Camera dei Deputati.
Ho detto alla Bondarenko che la loro missione, e le sue parole, erano imbarazzanti per noi. E che non ci saremmo prestati a fare da giuria cieca disposta a confermare la loro condanna, di cui sappiamo solo che impedisce l’opposizione e nega la democrazia. Le facce guardavano chiuse e fedeli nella loro consegna, e non potevi sottrarti alla fastidiosa suggestione lombrosiana di averli già visti, questi deputati-poliziotti, non tanto in un film quanto in una vita precedente : disciplina e fermezza, quasi un senso di rabbiosa dignità nel ripetere parola per parola, inclusi i fremiti nervosi, la verità di Stato, quella inculcata dal loro regime che adesso è al potere. L'interprete è precisa come un assistente chirurgico. Esegue rapida la sua parte di intrusione, e si ritira subito, come volendo mostrare che non è responsabile di quello che ci racconta. Dico alla Bondarenko: " Non sto offrendole la mia opinione personale o quella di un partito. So che tutti i miei colleghi le direbbero ciò che le dico io: ci sentiamo imbarazzati e umiliati dalla vostra pretesa di unirci alla vostra condanna. Gli altri deputati italiani (Antonione, Pianetta, Tempestini, Maran), tutti, consentono. Non ho tenuto conto, però, dei deputati della Lega. Si dissociano subito. Dicono con energia che loro non vedono niente di sbagliato in questa visita e vogliono che si sappia che sono d'accordo con gli emissari della polizia e del Parlamento ucraino. Ma c'era un altro ostaggio della Repubblica ucraina, quel giorno, oltre alla detenuta Tymoshenko che ci veniva ingiunto di ignorare. Erano i Mondiali di calcio che stanno per svolgersi in quel Paese, come se tutto fosse perfettamente normale.
Quel giorno non ne abbiamo parlato benché fosse certamente una delle cause di quella minacciosa visita. Ma la discussione c'è stata il 2 maggio, alla commissione Esteri del Senato, quando il segretario generale dell'Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione europea) l'ambasciatore italiano Lamberto Zanner, è venuto ad annunciare “basso profilo” verso l’Ucraina. Precisa: "La diplomazia non può entrare in una vicenda così delicata. E poi l'Ucraina sta per assumere la presidenza di turno dell'Organizzazione, dunque meglio non creare problemi.”
Mi è sembrato di rivedere, sul fondo di questo incontro, le facce dei poliziotti-deputati ucraini incontrati quindici giorni prima, decisi a governare senza libertà, a negare i diritti civili e umani e a godersi i mondiali di calcio, dove si discuterà solo di calcio.
E improvvisamente ti viene in mente che mai nessuno, negli Anni Trenta ha parlato delle leggi razziali in Germania e in Italia, mentre quelle leggi già segnavano i due Paesi e annunciavano la tragedia. “Basso profilo", doveva essere la parola d'ordine delle diplomazie di allora, come si legge nella biografia dell'ambasciatore americano a Berlino nel 1939 (a cura di Erik Larson, Neri Pozza). Solo dopo sono stati contati - a milioni - i morti. Eppure quelle leggi erano l’annuncio di tutto. Possibile che la parte peggiore della storia debba ripetersi indisturbata, sia pure con l'abilità di camuffarsi ogni volta?
Furio Colombo - 07 maggio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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