Da Genova, Parma, Palermo, dalla Val di Susa, ma prima da altre città e borghi d’Italia, nell’ultima tornata amministrativa giungono messaggi che noi osservatori dobbiamo registrare, ma che la classe politica farebbe bene a tener nella dovuta
considerazione. Ci sono tante componenti, generali e particolari, per spiegare i risultati elettorali, ma c’è un doppio elemento forte e speculare che unisce i casi che oggi commentiamo singolarmente. Da un lato la protesta contro il sistema politico-istituzionale: il Parlamento, la legge elettorale, la selezione delle classi dirigenti, e il loro modo di connettersi alla società ; dall’altro lato, un ritorno alle origini della politica: un ritorno della
Agorà di Tiro |
Ma è davvero così? Antipolitici i “grillini” o i No Tav? Antipolitica la vittoria di outsider nelle primarie del centrosinistra? O, in generale, il movimento degli “indignati” a livello internazionale? Coloro che sono scesi in piazza al Cairo o Tunisi? Non sarebbe ora di smetterla con queste etichette facili quanto superficiali?
All’opposto, si può sostenere che proprio i movimenti nati dal basso, al di fuori e spesso contro i partiti, siano la vera politica. Una politica diversa, da quella che i partiti si ostinano a praticare, incuranti della disfatta generale del sistema, anche se il risultato elettorale ha castigato duramente Pdl e Lega Nord, mentre nel-l’insieme ha salvato, talvolta premiato, il centrosinistra. Quattro milioni di italiani e italiane si mobilitarono nella campagna dei 4 referendum lo scorso anno, che vide poi 26 milioni di voti a favore di quei quesiti: un fatto epocale . E il sistema politico parve non accorgersene, e da allora sta ricevendo batoste micidiali.
Questi cittadini chiedevano e chiedono un’altra politica, diversa nelle modalità, nei linguaggi, nei contenuti: una politica fondata sulla partecipazione e sulla trasparenza, una politica che sappia ascoltare prima ancora che parlare alla cittadinanza; infine, nei suoi contenuti; la polis è interessata oggi essenzialmente non alle forme, ma alla sostanza; alle questioni della sopravvivenza: la salute e i beni comuni. E contrariamente a ciò che sentiamo dire sovente, la Piazza non rappresenta solo la protesta, ma può esprimere la proposta, ossia soluzioni alternative alle scelte dei governanti; a cominciare dalla difesa dell’ambiente, del paesaggio, del territorio, come mostrano le lotte contro certe “grandi opere” sciagurate che mettono a rischio aria, acqua, terra e la stessa bellezza dei nostri luoghi.
Nella piazza, naturalmente, si manifestano anche pulsioni di violenza, da parte di chi manifesta e di chi reprime. Eccessi, errori, veri e propri crimini, hanno costellato la storia recente e recentissima delle nostre piazze. La Piazza, del resto è il centro propulsivo di ogni rivoluzione, e ne abbiamo avuto prova nella “Primavera araba”. E anche quando non si tratta di rivoluzioni, le piazze fanno sentire la loro voce, esprimendo indignazione e rabbia: da oltre un anno a questa parte, gli indignados o le occupazioni di luoghi simbolici del potere stanno per l’appunto; si contano però anche molte occupazioni propositive e attive, come quelle dei luoghi della cultura, un fenomeno del tutto nuovo che sembra indicare all’Italia una via d’uscita dalla sua crisi infinita.
In definitiva, il discredito dei partiti e l’inettitudine della classe politica, davanti a una crisi economica devastante e iniqua, ha fatto riemergere la Piazza, restituendole una centralità imprevista, anche talora in modo irritante, ma salutare per tutti. Significa la costruzione di spazi pubblici e la loro occupazione, con la creazione di un lessico e di una iconografia, e forme inedite di lotta, dall’arrampicata su torri e tetti, all’incatenamento ai cancelli delle fabbriche, fino ai flash mob. Sarà dunque la Piazza il mezzo per restituire alla Politica il ruolo e lo statuto di “nobile arte”?
Angelo d’Orsi - 29 maggio 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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