Pubblichiamo in anteprima la sintesi dell’intervento che Carlo Freccero terrà al Festival del Giornalismo di Perugia domani sera, quando lui e Michele Santoro si candideranno rispettivamente alla presidenza e alla direzione generale della Rai.
Da quando ha perso il suo ruolo pedagogico, la Tv servizio pubblico continua a interrogarsi sulla sua identità sino a dubitare della sua stessa utilità. Alcuni ritengono che il pluralismo dell’informazione possa essere semplicemente garantito da una molteplicità di emittenti private. Ma la televisione non è solo un’impresa economica e una molteplicità di emittenti
commerciali non può sostituire il servizio pubblico, per diversi motivi. In primo luogo un’emittente privata è sotto-posta comunque totalmente alle leggi del marketing. Consegnare la televisione alle nude leggi del profitto, significa procedere a una mcdonaldizzazione, walmartizzazione dei gusti, che già si manifesta a livello produttivo. Che senso ha cambiar canale, se su tutti i canali è disponibile un unico prodotto? In Italia sia la sinistra che la destra auspicano una piena commercializzazione della Tv pubblica in vista di un suo possibile ingresso nel mercato. Mi riferisco a esempio al modello di Tv industriale, imposto da Celli alla Rai, in vista di una quotazione in Borsa mai realizzata. Dall’altro lato il presidente di Mediaset Confalonieri insiste su un modello di Tv pubblica, più aderente al modello tradizionale di servizio pubblico: una Tv di teatro, musica, balletti e promozioni culturali. Una Tv, chiaramente, destinata a un’audience minoritaria e, come tale, incapace di fare ombra al monopolio Mediaset. Secondo me, entrambi i modelli non sono proponibili.
Non è auspicabile ridurre la Tv pubblica a un clone della Tv commerciale, sia continuando a mantenerla in vita come un’entità autonoma, sia prevedendo una sua privatizzazione. Ma anche una gestione della Tv di Stato , come fossile vivente di un modello estinto di pedagogismo, riduce il servizio pubblico all’impotenza, alla marginalità, alla paralisi. Non a caso questa “nobile” soluzione è quella auspicata dalla concorrenza.
Dal capitale culturale al capitale intellettuale.
In una società in cui il consumo e la produzione restano gli unici valori riconosciuti, non c’è più spazio né attenzione per il capitale culturale. Ma un nuovo modello lo sostituisce: il capitale intellettuale. Siamo passati da una società in cui le élite detengono il capitale culturale, secondo la definizione di Bourdieu, a una società in cui prevale il capitale intellettuale inteso come creatività, logica, agilità mentale, prontezza di riflessi. Da queste premesse scaturisce l’esigenza di un nuovo modello di servizio pubblico.
La soluzione sta in una nuova forma di televisione che tenga conto dei mutamenti culturali intervenuti, che non si limiti alla sola valorizzazione del capitale culturale, ma sia in grado di spaziare tra culture diverse e soprattutto di esercitare il capitale intellettuale degli spettatori, la loro intelligenza. All’interno di un palinsesto più variegato, anche la cultura in senso tradizionale può essere reintrodotta, facendo ricorso alla creazione di “eventi” capaci di attirare l’attenzione dei media e quindi del pubblico. La cultura riesce ad attirare il pubblico quando si fa evento ed è capace di generare condivisione e discussione. Molti non hanno visitato la Pinacoteca della propria città, ma sono disposti a mettersi in viaggio per la mostra pubblicizzata dai media. Quando riesce a far parlare di sé la cultura è in grado di attrarre anche un pubblico di non specialisti. Ed è questo il nostro scopo. Non si può disinteressarsi dell’audience.
Il palinsesto della TV digital
È dal palinsesto della TV generalista che nasce la metafora del grande fratello, la capacità di persuasione della televisione e le sue possibili conseguenze perverse. Alla Tv generalista si contrappone quindi da tempo, a livello simbolico, il personal computer, come mezzo di comunicazione libero e individuale, e la Tv digitale. L’ipotesi di lavoro che voglio proporre è fondere gli aspetti di ciascuna per valorizzare entrambe. Le reti tematiche, pur fornendo a ciascuno quanto desidera, non riescono a decollare completamente. Per avere successo un’esperienza deve essere condivisibile.
E solo la presenza di un palinsesto garantisce la fruizione condivisa di un programma sino a farne un evento. Solo la televisione generalista può promuovere la circolazione di programmi a livello di massa. Se il futuro della televisione è nelle reti tematiche, la televisione generalista non rappresenta un mezzo obsoleto ma, al contrario, è in qualche modo la matrice potenziale di tutte le reti tematiche. Si dice che il palinsesto come organizzazione dei programmi, sia destinato a sparire, sostituito dalle scelte e dalle richieste individuali . Secondo me, al contrario, rappresenta una sorta di menu a cui attingere per un consumo più naturale del digitale.
Entriamo nel concreto
Abbiamo tre reti generaliste e una serie di Tv digitali. La prima cosa da fare è conferire un’identità alle reti generaliste. Rai1 è la rete per eccellenza, le compete il ruolo di spazio sociale in cui gli eventi mediatici trovano condivisione e comprensione. Rai1 è naturalmente lo spazio degli eventi: eventi storici, politici, sociali. Ma anche eventi mediatici, cinematografici, della società civile. È evento un film di grande impatto sul pubblico. Ma è evento anche un programma che si rivolge alla società civile come “Vieni via con me” di Fazio-Saviano. Infine l’archivio trova nella rete ammiraglia il suo ruolo di documento e di memoria storica del Paese.
Le reti collegate possono dedicare più spazio agli eventi, così come già avviene sulla Tv digitale satellitare tra Tg24 e i tasti “Active”.
A Rai2 potremmo conferire lo spazio dell’immaginario. Se Rai 1 è la rete civica e incarna lo spirito nazionale ed europeo, la cultura mainstream è una cultura per tutti, caratterizzata da quell’universalità del culto che è tipica della globalizzazione. L’immaginario universale, pratica i generi della cultura globalizzata, Hollywood, le reti pay-tv come Hbo, ma anche Bollywood, cultura dell’estremo oriente. E soprattutto il glocal, l’ibridazione tra culture locali e globali. (Mi raccomando, senza censura!). Per le reti digitali c’è solo l’imbarazzo della scelta. In primo luogo la fiction in tutte le sue declinazioni, poi la musica.
Rai3 ha già oggi e può conservare la sua vocazione di rete dell’informazione. Informazione in senso sociologico, economico, scientifico, d’inchiesta, di costume. E con la vocazione verso il nuovo e inconsueto a complemento della cultura mainstream.
Carlo Freccero - 28 aprile 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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