FIRME FALSE
Suicida per paura di essere indagato. Accade a Parma. Tutto è cominciato con la denuncia di Claudio Galli, ex campione di pallavolo della Maxicono Parma e della Nazionale. Voleva firmare a sostegno di un candidato sindaco (a Parma si vota il 6 e 7 maggio) ma la sua firma risultava già raccolta da un’altra lista. Galli denuncia, la Procura della Repubblica apre un’inchiesta, disponendo il ri-controllo di tutte le firme. Passano poche ore e Pierluigi
Ablondi, 58 anni, consigliere provinciale della Lega Nord, si toglie la vita. A rendere note le possibili motivazioni del tragico suicidio è stato lo stesso procuratore della Repubblica Gerardo Laguardia. Ablondi avrebbe lasciato una lettera ai familiari in cui racconterebbe “di aver autenticato le firme - dichiara Laguardia - per fare un favore a una persona che però non nomina”.
La tragedia di Parma non che l’ultima tegola che si abbatte sul Carroccio. Anzi, la penultima: ieri il senatore della Lega nord Piergiorgio Stiffoni si è dimesso da amministratore del suo gruppo al Senato e si è autosospeso dal partito e dal gruppo per “non danneggiare l’immagine del movimento” fino alla conclusione dell’inchiesta. Tecnicamente non è ancora indagato dalla Procura di Milano, ma il 19 aprile è stato sentito, come testimone, dai pm Paolo Filippini e Roberto Pellicano che, coordinati dal procuratore aggiunto, Alfredo Robledo, stanno indagando anche su presunti fondi neri del Carroccio. A Stiffoni sono stati contestati un investimento in diamanti per 200 mila euro e altre operazioni. I magistrati hanno ricevuto un rapporto dell’Unità Informativa Finanziaria della Banca d'Italia che aveva raccolto la segnalazione dalla Banca Popolare di Novara e Verona, su operazioni “anomale ” partite dal conto di Stiffoni. Nel rapporto, secondo quanto risulta al Fatto, si segnalano, tra l'altro, un prelievo da 90 mila euro e almeno una ventina di assegni circolari. Durante la deposizione, Stiffoni non avrebbe fornito spiegazioni convincenti per i pm. Ha parlato di paura per la crisi economica e quindi di accantonamento di contanti. Ma il sospetto dei magistrati è che possa aver gestito in maniera opaca i fondi pubblici destinati per le spese del gruppo della Lega in Senato. Ben 6 milioni. Ecco perché ieri i magistrati hanno ascoltato come testimone, per tre ore, Federico Bricolo, il capogruppo legista a Palazzo Madama. A lui hanno chiesto proprio il tipo di gestione da parte di Stiffoni dei rimborsi spesa per i senatori. Bricolo, ieri sera, ha annunciato che il nuovo amministratore del gruppo in Senato è Sandro Mazzatorta. Inoltre ha dato mandato a una società esterna di revisione di procedere alla verifica della gestione amministrativa di Stiffoni.
I magistrati milanesi sono in stretto contatto con il pm di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, che, come i colleghi anche napoletani, sta indagando su Francesco Belsito. Dopo alcuni interrogatori, tra cui quello dello stesso ex tesoriere reso al magistrato calabrese e quello del consulente finanziario, Paolo Scala, che si è occupato con l’imprenditore Stefano Bonet (indagato) degli investimenti a Cipro e Tanzania, si sta sviluppando una pista investigativa che vedrebbe mischiato il presunto denaro non contabilizzato della Lega con quello della cosca calabrese dei De Stefano.
Al centro delle indagini di Milano e Reggio Calabria c'è anche uno studio di consulenza legale, M.G.I.M, di cui risulta socio il consulente Bruno Mafrici, indagato per riciclaggio, insieme a Belsito, da Lombardo. Secondo i primi accertamenti dei magistrati milanesi risulta che lo stesso studio avrebbe anche ottenuto un pagamento da 40-50 mila euro per un ricorso al Tar promosso dalla Siram, la società di Bonet.
Ieri, come anticipato dal Fatto, si è avuta la conferma che Belsito ai pm milanesi ha detto che aveva carta bianca da Umberto Bossi e Roberto Calderoli per gli investimenti, anche stranieri, e che metteva al corrente il Senatur delle spese per la sua famiglia. Sviluppi d’indagine anche a Bologna. Marco Mambelli e Luigi Pasquini, candidati alle elezioni regionali del 2010 sono accusati dal pm, Morena Plazzi, di falso commesso da privato in atto pubblico. In sostanza avrebbero falsificato le note spesa. L'inchiesta è nata in seguito a un esposto di Alberto Veronesi, leghista espulso dal partito. Già nel 2010 aveva presentato una denuncia, ma era stata archiviata. A proposito delle spese elettorali, secondo l'ex leghista sentito anche a Milano, per eludere i controlli, la segretaria amministrativa della Lega, Nadia Dagrada, avrebbe indicato ai candidati di non superare, nelle rendicontazioni, la soglia dei 2.500 euro, prevista dalla legge sui finanziamenti pubblici, in modo da non rendere necessaria la nomina di un mandatario. Uno degli indagati, Pasquini, ammette di aver ricevuto indicazioni su come comportarsi: “Andammo tutti insieme noi candidati a Reggio Emilia (sede nazionale, ndr) e lì ci diedero un foglio in cui c'erano le varie opzioni”, a seconda di quanto si spendeva. L'altro indagato, Mambelli si dichiara “assolutamente estraneo alla vicenda”.
Una giornata conclusa con una contestazione a Bossi. Il Senatur, è stato fischiato a Crema. Ai contestatori, che gridavano ‘vergogna, ladroni’, ha urlato: “Venite vicino, vi faccio sentire la carezza del destro, a voi fighetti”.
Antonella Mascali - 28 aprile 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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