Non è un bello spettacolo quello immortalato dalla foto pubblicata da Panorama, che ritrae il già allora governatore della Puglia Nichi Vendola seduto al tavolo di un ristorante di Fasano (Brindisi) in compagnia di quattro pm pugliesi (Carofiglio, Pirrelli, Iodice, Bianchi) e due giudici (Manzionna e De Felice), oltre a una giornalista e al capo della Mobile di Foggia. Dopo la foto di Vasto, abbiamo la foto del pasto.
E francamente era molto meglio la prima. Non perché a un politico non possa capitare di ritrovarsi a tavola con magistrati, poliziotti e giornalisti, tantopiù – come in questo caso – se è per festeggiare una commercialista cugina di Vendola e amica di tutti i suddetti (con tutti i politici che frequentano delinquenti, un governatore che frequenta uomini di legge è un discreto salto di qualità). Ma perché uno dei suddetti magistrati, la gip di Bari Susanna De
Felice, è la stessa che pochi mesi fa ha respinto la richiesta della Procura di rinviare a giudizio Vendola per abuso d’ufficio in uno dei due scandali della malasanità in cui era coinvolto (l’altro è ancora sub judice), con l’accusa di aver favorito un primario riaprendo il concorso apposta per lui. È possibile che quella che gli
house organ berlusconiani chiamano la bugia di Vendola –
“non ricordo di avere mai conosciuto la dottoressa De Felice” – sia una semplice dimenticanza: un politico incontra migliaia di persone, anche a tavola, e non è obbligato a ricordarsele tutte, né si può dire che sia amico di tutte. Ma, siccome di quel pranzo si vocifera da mesi, Vendola avrebbe dovuto verificare presso la cugina o gli altri commensali l’eventuale presenza della gip e poi ammetterla con le dovute spiegazioni. Il che avrebbe innescato il meccanismo previsto in questi casi dalla legge per dissipare ogni sospetto e dietrologia: l’astensione del gip.
Certamente la dottoressa De Felice sapeva di aver pranzato col governatore Vendola e avrebbe dovuto astenersi dal processo a suo carico. Non perché nell’aver pranzato con un futuro imputato vi sia qualcosa di riprovevole, ma per tutelare la propria serenità di giudizio e anche l’immagine d’imparzialità della magistratura. Se un giudice conosce per ragioni private un suo imputato, qualunque decisione assuma nei suoi confronti, potrà essere accusato di aver usato la mano troppo pesante per allontanare da sé ogni sospetto o la mano troppo leggera per motivi di “relazione”. Esattamente l’accusa che sta piovendo addosso alla gip: accusa legittima e comprensibile, se non provenisse da un centrodestra ipocrita e indecente che non ha mai detto una parola sul suo leader, che i giudici non si limitava a invitarli a pranzo: li corrompeva direttamente, anzi indirettamente tramite il suo avvocato Previti. Il verdetto della De Felice potrebbe essere assolutamente impeccabile e Vendola totalmente innocente, ma ora che è uscita quella foto molti penseranno che fosse colpevole e abbia beneficiato di un trattamento di favore. Tantopiù in quanto il governatore aveva posto la gip in una situazione imbarazzante, annunciando che in caso di rinvio a giudizio si sarebbe ritirato dalla politica. La morale della favola, anzi della foto, è duplice.
Primo: da vent’anni si chiede la separazione delle carriere fra giudici e pm, mentre per salvaguardare l’imparzialità dei giudici bisognerebbe separare le carriere dei magistrati tutti da quelle dei politici, degli avvocati, dei potenti in generale che spesso esercitano sulla magistratura influenze ben maggiori di quella, tutta presunta e da dimostrare, del pm sul giudice.
Secondo: il magistrato politicizzato non è quello che lascia la toga e si candida in politica, ma quello che conserva la toga e frequenta i politici e poi magari li giudica. Forse chi, a destra come a sinistra, ha linciato per tre mesi Antonio Ingroia per motivi di bieca bottega elettorale dovrebbe chiedergli scusa.
Marco Travaglio - 23 febbraio 2013 -
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