La svolta giustizialista del Pdl, opportunamente stigmatizzata da Nick Cosentino e Insaputo Scajola, sta seminando il panico nei migliori circoli della mala. Se un onesto pregiudicato, un irreprensibile avanzo di galera, un mafioso come Dio comanda non può più rifugiarsi nemmeno chez B., se insomma il Partito dei Latitanti rinuncia ai valori fondanti e diventa all’improvviso il suo contrario senza un’ombra di dibattito
ideale, uno straccio di congresso programmatico, dove andremo a finire? Con tutti i partiti che ci sono in Italia, possibile che i delinquenti non trovino una sola lista in cui esercitare il diritto costituzionale all’elettorato attivo e passivo? Il rischio di una regressione culturale prima che politica turba le menti più fini del fronte liberaldemocratico, creando comprensibili imbarazzi. Tant’è che, dopo l’esclusione degli inquisiti più illustri a insindacabile giudizio del
capobanda, è tutta una corsa a giustificarsi. Il più commovente è Angelino Jolie, cui un giorno scappò detto “Partito degli Onesti” e mancò poco che lo linciassero, o soffocassero dal ridere, e fu subito chiaro che si era giocato ogni speranza di leadership. Ora però, di fronte alla sanguinosa accusa di giustizialismo, deve lavare l’onta. “Non è stato facile, c’è stata forte macerazione anche da parte di Berlusconi”, terrorizzato dalla sola idea di passare da onesto. “Noi non intendiamo abbandonare il nostro ideale garantista, continuiamo a considerare i giustizialisti nemici della giustizia e non cediamo al giacobinismo”. Ecco: quella su Cosentino è “una decisione fondata sull’inopportunità, da noi considerata grave, di una candidatura”. Ma i processi per camorra non c’entrano, anzi “noi lo consideriamo innocente”. Dev’essere stato per come porta gli occhiali, o per i gessati che indossa, o per quelle cravatte un po’ così, o per quel lieve strabismo di Venere. Anche il Cainano vuole subito allontanare da sé qualunque sospetto di legalità, di collusione con la giustizia, di concorso esterno in magistratura: la calunnia, si sa, è un venticello. Non sia mai. Uscendo da Palazzo Grazioli fa il segno della scure che taglia le braccia, come a dire che senza Dell’Utri e Cosentino lui è monco (il terzo braccio, Previti, l’aveva già perso da tempo). Poi precisa che i tre impresentabili non li ha cacciati lui: “hanno rinunciato sponte propria”, come dimostrano i lividi sul collo di Al Fano. Ed è tutta colpa dei pm: “La magistratura politicizzata ha attaccato i nostri amici e questo fatto, divulgato dai media, poteva diminuire il nostro consenso”. Ora però “non si può andare avanti con l’uso ossessivo della custodia cautelare prima del processo”: lui la carcerazione preventiva l’accetta solo se è successiva. E bisogna introdurre “l’istituto della cauzione, come in America”: così chi ha i soldi paga ed esce subito. Idea geniale, che non era venuta in mente nemmeno a Riina nel famoso papello. Purtroppo la diceria del Cainano convertito al giustizialismo già dilaga sui giornali amici. Libero lo ritrae al naturale, cioè pelato come Mastrolindo, sotto i titoloni su “Mastrosilvio” che “fa le pulizie”, mentre il rubrichista con le mèches piange “la morte del garantismo”. Sul Giornale di Mastro Olindo, Ferrara avverte: “Gli inquisitori sono più pericolosi degli inquisiti”. E Rondolindo rincara: “I veri impresentabili sono i giudici” (glielo diceva già D’Alema). Per fortuna basta un’occhiata alle liste pulite del Pdl per scoprire che la pulizia è un concetto relativo. Gli imputati candidati sono una trentina, i pregiudicati almeno tre: Camber, Farina e Sciascia. Quest’ultimo pagava le mazzette Fininvest alla Guardia di finanza e, quando un cronista di Santoro glielo fece notare, precisò orgoglioso: “E certo che sono un condannato per corruzione. Ma mica perché sono un corrotto: perché sono un corruttore”. Che si sappia, sennò poi la gente chissà cosa va a pensare.
Marco Travaglio - 23 gennaio 2013 -
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