Il 18 giugno 2004, nelle dichiarazioni spontanee al processo Sme, era un altro uomo. Fino a notte fonda aveva concordato parola per parola con gli avvocati le cose da dire e soprattutto da non dire. Poi, appena scattò in piedi e impugnò il microfono, lasciò perdere il copione e parlò a braccio. Disse che “la legge è uguale per tutti ma io sono
più uguale degli altri perché ho avuto i voti”. Aggiunse che mai avrebbe corrotto un giudice con bonifici esteri, potendo “mettere una mano in tasca e tirar fuori i contanti senza lasciare traccia”. Un attimo prima che confessasse, Ghedini e Pecorella lo portarono via di peso, con la scusa di “un impegno a Roma col premier greco” (il suo consulente finanziario). L’altroieri, otto anni dopo, nel monologo-bis al processo Ruby, ha letto da seduto con voce monocorde una pappardella scritta da Ghedini e Longo. Limitiamoci all’accusa più grave: la concussione
per le telefonate in questura dopo il fermo di Ruby per furto: “Nessuna pressione sul funzionario: ho solo dato e chiesto una semplice informazione... Ero interessato a sapere se vi fosse un problema per l’identificazione della ragazza”. Poco prima – dice lui – Francesca Loddo l’aveva chiamato a Parigi, dove presiedeva il vertice Ocse, per avvertirlo che Ruby era in Questura senza documenti, allora lui aveva chiesto alla Minetti “di recarsi in Questura per agevolare l’identificazione”. Poi aveva chiamato il capo di gabinetto Piero Ostuni, buttandolo giù dal letto: “Mi limitai a chiedergli se poteva confermare o meno che vi fossero problemi di identificazione di una giovane egiziana di nome Ruby che mi risultava potesse avere una parentela con Mubarak. Dissi che per agevolare le operazioni di identificazione avevo chiesto al consigliere regionale Minetti di recarsi in Questura... per evitare un incidente diplomatico. Ma non chiesi affatto che la ragazza fosse affidata alla Minetti”. Purtroppo la versione di B. è smentita da Ostuni, che nella relazione di servizio annotò le sue parole: “Sarebbe opportuno evitare che sia trasferita in una struttura di accoglienza (come prevede la legge e come aveva disposto il pm minorile, ndr). Sarebbe meglio affidarla a una persona di fiducia e per questo volevo informarla che entro breve arriverà da voi il consigliere regionale Minetti che se ne occuperà volentieri”. Dinanzi ai pm, Ostuni mette a verbale che “la parola ‘minore’ non fu pronunziata, anche se era implicito che si trattasse di una minorenne perché si parlò di affido di una persona priva di documenti”. Ma la versione di B. è smentita soprattutto da B. che il 19 gennaio 2011, in un video-messaggio, lesse il verbale di Ostuni e non lo contestò, anzi lo confermò: “Vi leggo le risposte del funzionario al pm dove descrive la mia telefonata... Ma vi pare che questa possa essere considerata una telefonata di minaccia? Tutto ciò è assolutamente ridicolo”. Il 26 maggio 2011, a Porta a Porta, B. s’inventò addirittura che fu Ostuni a chiedergli “di inviare una persona maggiorenne e incensurata a prelevare Ruby”. Ora i suoi avvocati l’hanno aiutato a scordarsi ciò che aveva già ammesso: e cioè di aver chiesto a Ostuni di affidare Ruby alla Minetti. Anche perché, se tornasse ad ammetterlo, dimostrerebbe che già quella sera sapeva benissimo che Ruby era minorenne (l’affido è previsto solo per i minori). E rafforzerebbe l’altra accusa: induzione alla prostituzione minorile. Insomma, è il caso di dirlo, un casino. Che spiega come mai, nella terza età, B. manifesti sintomi sempre più allarmanti di una sindrome di Stoccolma verso le toghe rosse: elogia Ingroia, stringe la mano alla Boccassini e scherza con entrambi sull’esosità dei suoi avvocati. È l'appello subliminale e disperato di un uomo molto solo: “Vi prego, salvatemi voi”.
Marco Travaglio - 21 ottobre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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