mercoledì 13 giugno 2012

Rai - Quando arriva un nuovo Dg, parte la corsa a voltare gabbana

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VIALE MAZZINI, L’ARTE DI CAMBIARE CAVALLO

Clemente Mimun, con sintesi felice, lo chiama “il vento della tentazione”. Giuliano Ferrara evade dal sentiero dei nidi di ragno per guidare senza cinture nell’autostrada dell’ironia: “A due categorie non vorrei mai appartenere: giornalisti e uomini Rai. Ragionare sul loro
turbamento e sui riposizionamenti politici di queste ore, sembrerebbe un’indebita affiliazione”. Né bandiere, né pistole. Solo paura e delirio in Viale Mazzini, perché ogni cambio di Dg porta con sé il rischio della puntata al Casinò. All’ombra del cavallo di Messina, nella mesta Las Vegas de noantri, tra morsi di Tarantola, sprofondi finanziari e privatizzazioni, vale ogni bassezza e scoloriscono le strategie. Non più duellanti né massime di Conrad: “Fa più carriera di lui e abbi fede in Bonaparte” perché, nella Arcore trasformata in Sant’Elena, credere ancora in Berlusconi non è più lecito. Travestimento quindi, fantozziane Coppe
Cobram, adorazione dei nuovi padroni e tripli salti carpiati per evitare di finire nella rete dei tecnocrati. Tempi nuovi. Francesco Storace, i vecchi, li conosceva bene. Fu nel suo ufficio romano di Via della Scrofa, tre metri sotto il cielo da dividere con gli acari, che un inviato di primo piano della tv di Stato si precipitò dall’altra parte del mondo dopo aver lungamente piatito un appuntamento. Era l’epoca in cui il giovane Epurator formava con Taradash la coppia allo Zenit della commissione di vigilanza Rai. Un Fuenti dell’architrave repubblicana secondo Ferrara: “Solo nel nostro paese, dove per anni al centralino di quella omologa sui misteri d’Italia rispondeva una voce annoiata dal forte timbro romano ‘commissione stragi, dicaaa’ è stato possibile immaginarne una”.

Uno stagno in cui Storace nuotava con stile da autodidatta. L’inviato suonò. I camerati impallidirono: “Ma allora siamo diventati importanti”, Storace lo fece sedere e ascoltò memorie sapientemente rielaborate a nero: “Finalmente siete arrivati, ero circondato dai comunistacci brutti”. Poi, il colpo di teatro. Portafogli che si apre, vecchia foto, voce melliflua: “Guardi onorevole, è la Marcia su Roma, questo è mio nonno, magari c’è anche il suo” con Storax gelido: “Il mio era partigiano”. Agli equilibrismi di oggi, non prima di aver fatto trapelare la segretissima lista del nuovo Cda: “Befera, Visco, Amato, Grilli, Draghi, Merkel, Dracula” Storace oppone il moschetto: “Temono tutti di essere assunti dall’agenzia delle entrate. Accadrà e saranno cazzi loro”. Coperto dal labaro dell’idea, ricorda ogni dettaglio anche Pietrangelo Buttafuoco: “Nei giorni in cui Prodi andò al governo io e Sottile, l’ex portavoce di Fini, eravamo diventati invisibili. Isolati. Anche prendere un caffè al bar era sospetto. Intelligenza con il nemico, rappresaglia certa”. Le stesse atmosfere de “I Tartassati” di Steno, con Fabrizi e Totò impegnati nell’equivoco sulla “buon’anima” del Duce. Afrori confermati da Mimun, in Rai per decenni prima del cerchio (chiuso) al Tg5: “Lei è fortunato, parla con il massimo esperto mondiale di giravolte e miserie aziendali”. Clemente J., l’esegeta della specie. Fin dal ’94. Sul tema, sulle tracce dell’omonima canzone di De Gregori: “Ho solo una camicia e francamente non mi basta” ha scritto un libro. “Souvenir”. Il primo regalo avvelenato non si dimentica: “Quando Simona Ercolani, ancora oggi abbracciata sentimentalmente a uno dei lothar di D’Alema, calunniò il povero Vigorelli inventando le sue corse mundial con la bandiera di Forza Italia nei corridoi di Saxa Rubra, ne segnò la sorte. Fu il primo di cui si pretese lo scalpo perché oggi come ieri, in Rai sono ed erano tutti de sinistra. Me lo confermò Claudio Petruccioli, un buon amico, che nel 2006, prima del previsto successo di Prodi: ‘Clemente, io ti cambio. In ogni caso’. Era giusto. Con Romano condividevo solo la data del genetlìaco. Petruccioli mi propose lo sport, ma se avessi amato i film a luci rosse mi avrebbe offerto la divisione pornorai”. Per Mimun la questione è antropologica: “Lì c’è di tutto. Traditori, leccapiedi, paraculi intelligenti alla Gruber, volti ingrugniti alla Busi, grandi cronisti e stanchi imitatori della parabola di Moretti: ‘Mi si nota di più se vengo e mi metto in disparte o se non vengo proprio?’. Gente che dovrebbe togliersi dai coglioni a prescindere”.

Respiro, affondo. “Prenda Giorgino. Il destino nel cognome. Uno che ha osato volare dove non rischiavano neanche aquile come Biagi e Montanelli. Vergando, con foto, un manuale di giornalismo. Annusò l’aria e si reinventò a gauche svoltando di 360°”. Meglio Vincenzo Mollica: “Gli proposi la vicedirezione per 15 anni. Mi rispose sempre no ‘preferisco vivere’. O Fassino: “L’ingenuo Piero. Mi raccomandava sempre Daniela Tagliafico, poi se la ritrovò tagliata da Giulio Borrelli. Il fuoco amico di D’Alema”. Pausa: “Intuire la direzione dei colpi è l’arte più difficile”.

Malcom Pagani - 13 giugno 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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