sabato 9 giugno 2012

PD e PDL PRIMARIE DISPERATE

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Cercando la credibilità perduta i partiti maggiori annunciano consultazioni che li terrorizzano

PD - Bersani rischia tutto e si candida
I peones del Pd sono terrorizzati dalle primarie e dall’apertura alle civiche perché temono per la loro sopravvivenza”. Sono le 15 e 30 al Nazzareno, il sole cuoce e Gianluca Lioni, giovane
dirigente democratico di ultima generazione (di anni ne ha poco più di 30) e di belle speranze fotografa l’atmosfera della direzione nazionale del Pd di ieri più di tante parole dette in chiaro nei vari interventi. Ieri è stato il giorno in cui il segretario ha fatto l’atteso (ma mediaticamente bollito) annuncio della sua candidatura alla premiership: “Faremo primarie aperte entro l’anno e io mi candiderò”. Mentre nel parterre serpeggia una certa nebulosa (“Che vuol dire aperte? Di coalizione ?”, si chiede il costituzionalista Salvatore Vassallo), comincia il lavoro degli
esegeti bersaniani: “Aperte” vuol dire “aperte” a tutti, a chiunque voglia partecipare al “patto tra democratici e progressisti”, spiegano gli uomini dello staff. E dunque, “non solo ai partiti di un centrosinistra di governo ma ad associazioni, movimenti, liste civiche, sindaci e amministratori, singole personalità”. E dunque, sulla carta, a Nichi Vendola, come a Matteo Renzi, a Roberto Saviano, come a Concita De Gregorio o a un qualsiasi competitor. Poi, Bersani apre pure ai moderati, disponibili “a un patto di legislatura”. È il giorno degli esegeti, perché nonostante la direzione sia aperta (ma i giornalisti possono seguire i lavori solo da una tv a circuito chiuso) le dichiarazioni “in chiaro” raramente sono sembrate più paludate e meno leggibili. D’altra parte Bersani ha imposto la sua linea ai big: è pronto a misurarsi con chi vuole, per smarcarsi dalle opa dei big. E se il rischio di perdere per lui è alto (come hanno dimostrato tutte le primarie aperte del Pd), lo è anche per tutti gli altri, dagli alti dirigenti che temono di perdere potere a chi si gioca la ricandidatura. Bersani rilancia la questione legge elettorale, dando ad Alfano 3 settimane di tempo: “Noi vogliamo il doppio turno di collegio, ma siamo disponibili a parlare”. Questione non secondaria. La sua, infatti, è una relazione che mentre indica un “percorso” lascia più incognite che risposte. Il segretario chiede un voto, ma poi convoca per metà luglio un’Assemblea nazionale, il vero organo decisionale. E poi: le primarie si vogliono fare sì, ma con il voto a ottobre salta tutto; le consultazioni di coalizione hanno un senso se ci sarà il Porcellum, e dunque una coalizione; senza contare che per fare primarie aperte bisogna modificare lo Statuto, cosa che può fare solo l’Assemblea. Viene rimandato pure il voto sull’ odg di Pippo Civati (primarie per i parlamentari, primarie per la leadership e limite dei tre mandati). Lui mostra disponibilità (“Condivido la relazione del segretario, e dunque non forzo con un voto”) e la Bindi, che presiede, coglie l’occasione per tagliar corto (“Se parla in sede di modifica di Statuto”).

D’altra parte, la paura fa (proprio) 90: sarebbero 94 i parlamentari Pd non ricandidabili. Dopodiché comincia la sfilza degli interventi. Non mancano i momenti di tensione. Come quando Piero Fassino alla Bindi che chiede rispetto dei tempi risponde: “Per te ne abbiamo avuto tutti tanto”, e poi continua a parlare. Stefano Fassina e Matteo Orfini evitano di riproporre la questione voto anticipato, ma si scagliano contro il metodo con cui sono state gestite le nomine dell’Authority: “Abbiamo fatto una figuraccia per assecondare un capriccio di corrente’, dice Orfini, con una stoccata a Franceschini. Commenti al vetriolo nei corridoi: “Però, pure lui c’aveva la sua di corrente”. Bersani nella sua replica sbotta chiedendo “toni accettabili”. Altro intervento che gronda polemica è quello di Sandra Zampa, ex portavoce di Prodi, ora deputata: “Prodi è l'unico che ha lasciato la politica mentre qui vedo gran parte della seconda Repubblica e qualcuno anche della prima. È venuto il momento del rinnovamento”, dice, mentre il Professore parla di “suicidio politico” del Pd. A proposito di rinnovamento, nessun annuncio da D’Alema che negli scorsi giorni aveva fatto sapere di non volersi ricandidare (dopo “sole” 7 legislature ).

Comincia il toto candidati alle primarie. Matteo Renzi non prende la parola, ma tutti lo danno per certo. Convoca Civati, perché “ci vuole solo un candidato di noantri”, spiega quest’ultimo. Che saranno solo due non ci crede nessuno. Pure la Serracchiani, mentre passa, annuncia che potrebbe correre. I dirigenti intervengono in appoggio al segretario tra mille distinguo, con Fioroni che dice no a primarie di partito e Letta che già chiede un patto di legislatura post 2013. Mentre Di Traglia, il portavoce di Bersani, twitta che è stata una bella giornata, si va stancamente alla replica. Nella quale sostanzialmente il segretario scarica Di Pietro, “irraggiungibile anche da Grillo, ma c’è un limite a tutto”. Il leader Idv aveva detto che “a scatola chiusa non ci accordiamo”. Vendola invece approva . Voto all’unanimità. Decisioni rimandate. E a guastare l’uscita ci pensa una contestazione al grido “Andate a lavorare”. Nel giorno dell’apertura, ancora un arrocco: nessuno si ferma a rispondere.
Wanda Marra

PDL - Competizione col trucco: B. vuole Montezemolo
Aspettando Montezemolo. Silvio Berlusconi pronuncia il nome del presidente Ferrari con cautela, durante la direzione del Pdl più delicata degli ultimi tempi, per far capire ai suoi, riuniti a Palazzo Grazioli, che non è lui quel “papa straniero” su cui punta per riconquistare il patrimonio elettorale del centro-destra, ormai finito sotto la soglia del 20%. Ma è chiaro,
nonostante le dichiarazioni d'intenti di tutt'altro tenore, che il Cavaliere non ci pensa neppure un attimo a ripresentarsi alle elezioni con le stesse facce e la stessa compagine pidiellina di oggi, quella che è ormai sconfessata anche dalle urne (le amministrative bruciano ancora) e batte strade alternative. Il futuro, insomma, si chiama Montezemolo. E anche Bertolaso, se necessario. Oppure Santanchè, che ieri – dicono – fosse molto nervosa accanto a Galan e che poi, all'uscita, ha lasciato intendere di restare all'erta (“non vado in vacanza”). Più difficile che il futuro si chiami Alfano, nonostante l'investitura ricevuta da tutto il partito in vista di primarie autunnali che rappresenteranno, comunque, una novità assoluta per il centrodestra (non solo italiano). Però Berlusconi pensa ad altro. Non lo dice, ma tutti lo sanno. Il diktat è tenere unito il partito per evitare fughe in avanti e ulteriore balcanizzazione: “Prima di tutto – ha intonato un redivivo Claudio Scajola – bisogna ritrovare la nostra identità, non disperdersi in tante micro identità”. Applausi. Doverosi, certo. Come quando Angelino Alfano ha declinato il documento di sei punti per provare a rilanciare il Pdl, indicando le mosse in vista delle urne 2013.

Nel frattempo, lealtà al governo Monti. Quindi, il lancio delle primarie aperte per la scelta della premiership (lui, al momento, l'unico in corsa), poi il rilancio della sfida del semipresidenzialismo alla francese, ribadendo la necessità di cambiare la legge elettorale con l'introduzione del doppio turno. A suggello di quello che è parso a tutti come un discorso della corona, Alfano ha citato Roosevelt: “Questo non è il tempo della paura, ma del coraggio e delle scelte coraggiose”. Applausi ancora scroscianti, mentre Maria Rosaria Rossi, ormai l'ombra di Berlusconi, mandava sms di giubilo al Cavaliere per la ritrovata unione interna. In realtà, solo apparente. Perchè di contento davvero, ieri a palazzo Grazioli, non c'era nessuno. Certo, tutti moderatamente soddisfatti o insoddisfatti, comunque consapevoli che il futuro resta incerto e le primarie consentono di fatto ad Angelino Alfano di tirare il fiato, almeno per un po'. D'altra parte, non poteva esserci nessun 'regicidio', come qualche barricadero della prima ora si era augurato, ma almeno le primarie convocate per l'autunno segnano l'uscita dal completo immobilismo delle ultime settimane e segnalano la necessità di rafforzare la segreteria. Solo che, in sostanza, le risposte che i big del partito chiedevano a Silvio Berlusconi non sono arrivate. Il Cav, pressato comunque soprattutto da ex An agguerriti come La Russa, ha giurato e spergiurato che nessun nuovo partito è allo studio, e che nemmeno uno spezzatino del Pdl è in cottura. Ma non appena ha confermato il progetto di coalizzare liste guidate da Montezemolo, Sgarbi, soprattutto Bertolaso, tutti hanno avuto chiaro che Berlusconi studia un'alternativa credibile al Popolo della libertà, che certo non ha rassicurato la classe dirigente del Pdl; “Italia Pulita”, insomma, resta nell'aria. A quel punto, è stato proprio La Russa a punzecchiare nuovamente il Cavaliere come colui che talvolta sembra vestire i panni “di allenatore di altre squadre che giocano in altri campionati”, ma Berlusconi ha saputo controbattere, per quanto sia, con una certa credibilità: "Io gioco in questa squadra". Il futuro, però, è davvero incerto. Le primarie aprono di fatto un duello serrato, a pochissimi mesi dal voto politico, di due contendenti. Una disfida potrebbe provocare tensioni interne importanti, tanto che anche ieri, come si diceva, Daniela Santanchè non ha chiuso a una sua candidatura. Senza contare eventuali ambizioni di emergenti del calibro di Meloni o Crosetto. Al centro della scena, per ora, resta Berlusconi. E non solo per l'inevitabile show anti pm che ha svolto diligentemente anche ieri, ma soprattutto perché ha fatto chiaramente capire di avere altro per la testa sul futuro del partito. Un futuro che per lui si chiama, comunque, Montezemolo.
Sara Nicoli

- 09 giugno 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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