B. e le donne mascherate: “Erano gare di burlesque” E sulle testimoni: “Sono state rovinate, le mantengo tutte”
Le “cene eleganti” ora sono diventate “gare di burlesque”. Parola di Silvio Berlusconi. Ieri al Palazzo di Giustizia di Milano sono andati in scena due processi paralleli: in aula quello ufficiale, con i funzionari della Questura di Milano chiamati a spiegare ai pm Antonio Sangermano e Ilda Boccassini (tornata in dibattimento) come mai la notte del 27 maggio 2010
hanno mandato Karima El Mahroug detta Ruby a casa di una prostituta e non in comunità, dopo aver ricevuto le telefonate dell’allora presidente del Consiglio, che premeva affinché fosse liberata “la nipote di Mubarak”. Fuori dall’aula, Berlusconi, venuto per la prima volta ad assistere al processo Ruby, ha raccontato la sua versione. Un “fuorisalone” scoppiettante. Dopo i racconti delle testimoni che, rompendo il fronte delle ragazze, stanno raccontando la natura sessuale delle feste di Arcore, non regge più la versione delle “cene eleganti”. Ecco allora spiegati i dopocena con la voglia di spettacolo delle giovani invitate (“Le donne sono per loro natura esibizioniste”) e “le gare di... come si chiama? Di burlesque”. Spiega Berlusconi: “È vero, le ragazze si travestivano, da poliziotto, da infermiera, da Babbo Natale... A volte dopo cena si scendeva nel teatro, che è la vecchia discoteca dei miei figli, in un’atmosfera di simpatia, gioiosità, divertimento... Macché suore: molti dei vestiti usati erano dono di Gheddafi, neri, lunghi, con gioielli applicati sul davanti”. S’indigna perfino Scarlett Martini, “regina italiana del burlesque”, quello vero: spettacolini in stile vintage, con ironici strip tease da pin-up anni Quaranta e Cinquanta. “Quelli di Arcore”, dice, “erano invece spettacoli infantili e volgari”.
Ma un'ammissiione Berlusconi la fa, ai giornalisti, a proposito dei soldi ricevuti da alcune delle testimoni. Da una parte dichiara: “Non ho mai avuto bisogno di pagare una donna per fare sesso”. Dall’altra confessa: “Mantengo le ragazze, tutte, perché hanno avuto la vita rovinata da questo processo. Hanno perso il lavoro, i fidanzati, e forse non ne avranno mai più. È stata rovinata la vita a trenta ragazze, è una cosa scandalosa. Ho sempre mantenuto ragazze, ragazzi, uomini, anziani, perché me lo posso permettere, nonostante la rapina del secolo mi abbia derubato di 500 milioni”. Il riferimento è alla sentenza che gli impone di risarcire Carlo De Benedetti per avergli sottratto la Mondadori grazie a una sentenza comprata. “Ma quando uno ha una barca”, conclude ammiccante Berlusconi, “non deve preoccuparsi di quanto gli costa l’equipaggio”. Intanto in aula il processo, quello vero, ha messo a fuoco il punto più delicato della vicenda Ruby: le pressioni di Berlusconi nella notte del 27 maggio, che gli sono valse l’accusa secondo il codice più grave, quella di concussione, che si aggiunge a quella di prostituzione minorile per aver coinvolto l’allora diciassettenne Ruby nel contesto sessuale delle feste di Arcore.
Quasi svogliato l’ex questore Vincenzo Indolfi: “Il mattino dopo mi hanno informato che il problema era stato risolto. Non ho chiesto di più. Non ho letto le relazioni di servizio”. Imbarazzato il capo di gabinetto della questura Piero Ostuni, che riceve, quella notte, le telefonate di Berlusconi. È lui a coinvolgere la dottoressa Giorgia Iafrate, la dirigente di turno a cui è toccato di eseguire il controverso affidamento di Ruby: alla consigliera regionale Nicole Minetti (imputata di favoreggiamento della prostituzione, anche minorile, in un altro processo, insieme a Lele Mora ed Emilio Fede). Ostuni è visibilmente in difficoltà di fronte al fuoco di fila delle domande dei pm. Perché non ha riferito al questore che la ragazza non era la nipote di Mubarak, come avete rapidamente appurato? E perché non lo avete riferito anche alla presidenza del Consiglio? “Non saprei, non lo so, non ci ho pensato”.
È Ruby stessa a riferire subito che quella di essere nipote di Mubarak è una balla che lei racconta di tanto in tanto. Boccassini insiste: “E allora perché, nella sua veste istituzionale, non ha avvertito il presidente Berlusconi che la minore non era la nipote di Mubarak?”. Ostuni quasi farfuglia: “Non so rispondere in questo momento”. La musica cambia con la deposizione di Giorgia Iafrate. Nel maggio 2010 era appena arrivata dalla scuola di polizia, aveva l’incarico in questura da poche settimane. Eppure tiene testa non solo a Sangermano, ma anche alle domande incalzanti di Ilda Boccassini. “Sarò stata inesperta, ma non sprovveduta”, puntualizza. La magistrata le chiede: “Lei sa che le disposizioni di un pubblico ministero sono un ordine? Lei ha disatteso o no, quella notte, le disposizioni del pm dei minori, Annamaria Fiorillo?”. “Non ho disatteso”, è la risposta. Ma il pm aveva disposto che la minore fosse affidata a una comunità o che rimanesse in questura. “Ho agito nell’interesse della minore. Nei miei poteri di pubblico ufficiale, di fronte alla scelta se lasciare la ragazza in questura in condizioni non sicure, oppure affidarla a un consigliere regionale, ho ritenuto di seguire quest’ultima possibilità”. Così nella relazione di Iafrate non c’è alcun riferimento alle telefonate di Berlusconi. E la minorenne Ruby viene “formalmente” affidata al “consigliere ministeriale” Nicole Minetti, ma nell’abitazione “di via Villoresi”, è scritto nel verbale: cioè a casa di Michelle Coincecao, donna dal mestiere incerto.
Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
21 aprile 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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