Incrociando per qualche minuto un ‘Porta a Porta’ dedicato ai Beatles (anche Vespa non sa più a che santo votarsi, diviso fra l’opportunistica esigenza di cavalcare l’indignazione popolare contro i politici e il terrore di esserne a sua volta travolto) ho sentito Catherine
Spaak, ancora attraente ma lontanissima dalla ragazzina implume, ingenuo-maliziosa, che faceva impazzire il quarantenne Tognazzi ne ‘La voglia matta’, dire che i quattro ragazzi di Liverpool avevano portato in Europa l’Oriente. Osservazione vera e intelligente, ma la Spaak avrebbe dovuto aggiungere “a livello di massa”. In epoca moderna (i Greci, soprattutto Eraclito, avevano contatti col buddismo già dal VI secolo a.C.) sono stati prima Schopenhauer e poi Nietzsche a volgersi ad Oriente. Fra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento anche l’arte europea guarda ad Oriente. Il segno di Aubrey Beardsley, che illustrò la Salomè di Oscar Wilde, è lo stesso dei disegni calligrafici giapponesi come ha potuto constatare chi abbia visitato la mostra di Palazzo Reale, a Milano, dedicata a Hokusai. La straordinaria Parigi degli anni 20-30 pullulava di artisti giapponesi (il più noto è Foujita). Questo sguardo all’Oriente e alle sue filosofie esprimeva un bisogno di spiritualità di fronte all’illuminismo razionalista, materialista di derivazione kantiana, hegeliana, marxista, liberista che, avviato dalla Rivoluzione industriale, era dominante.
I Beatles con Maharishi Mahesh Yogi |
“Moglie e buoi dei paesi tuoi”. Anche le religioni (come la democrazia), tanto più se hanno radici profonde, non sono trasportabili a piacere da una cultura all’altra.
Il fatto è che la Chiesa, cattolica, apostolica, romana, non è stata in grado di intercettare queste esigenze di spiritualità. Anch’essa, pur bimillenaria, è diventata figlia del suo tempo. Col Concilio Vaticano II, di cui si celebra in questi giorni il cinquantenario, si è aperta al sociale. Papa Wojtyla ha utilizzato talmente a tappeto i mezzi della modernità (gli aerei, i viaggi, gli ‘eventi’ spettacolari, la ‘papamobile’, i ‘papaboys’, ecc.) fino a confondersi con essa. Era diventato una pop star. Come i Beatles. Ma non sapeva nemmeno cantare.
Massimo Fini - 13 ottobre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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