mercoledì 17 ottobre 2012

BERSANI SCARICA D’ALEMA: “VUOLE LA DEROGA? LA CHIEDA”


CANDIDATURA, IL SEGRETARIO NON SOCCORRE IL SUO GRANDE SPONSOR TRA LE FIRME A SOSTEGNO DEL “LIDER MAXIMO” ALMENO DUE FALSI

Davanti al piccolo ascensore che dal piano terra della Camera conduce alla sala del Mappamondo, Massimo D'Alema fa cenno a un paio di cronisti di avvicinarsi. Loro si guardano allibiti, realizzano che è successo un miracolo e si avviano in direzione del Lider
Maximo. Non avevano osato nemmeno passargli vicino: poche ore prima, Pierluigi Bersani lo ha ufficialmente rottamato dicendo che non gli chiederà di candidarsi, D'Alema non è mai troppo socievole, figuriamoci oggi. Invece, è lui che li chiama. Vuole pronunciare la sua cattiveria qui, lontano dalle telecamere che lo aspettano al piano di sopra. “Non è Bersani che decide – sibila – ma il partito. Io infatti ho detto che mi candido se me lo chiede il partito”. Poi si infila nell'ascensore e sale su, a presentare il libro di Ciriaco De Mita, La storia d'Italia non è finita. Nemmeno quella di D'Alema, a giudicare dalla paura che fa.

Pierluigi Bersani
Durante i suoi show, Matteo Renzi manda in onda a ripetizione il video in cui l'ex ministro degli Esteri dice che se vince il rottamatore “si spaccherà il centrosinistra”. Renzi lo getta in pasto alla platea e dice: “Se vinco io, al massimo non viene ricandidato D'Alema”. Gli applausi ogni volta si sprecano, e nel partito sostengono che Pier Luigi Bersani si sia fatto convincere da quelli, quando ha deciso di mostrare il pugno duro proprio con l'uomo che ha sostenuto la sua vittoria alla segreteria del Pd.

Ingrato, lo giudica qualcuno. “Ponzio Pilato”, lo chiama la Velina rossa, “bollettino” dalemiano. Incapace di gestire “un nodo” prevedibilissimo, aggiungono altri. Ma di certo, ieri, il figlio del benzinaio di Bettola ha dimostrato che la sua cavalcata è appena cominciata, costi quel che costi. Bersani non dice solo che non chiederà a D'Alema di ricandidarsi, come non lo chiederà “a nessuno”. Aggiunge che “chi ha fatto più di quindici anni, per essere candidato deve singolarmente chiedere una deroga alla direzione nazionale”. Lo dice lo statuto. Ma finora, la prassi aveva funzionato diversamente. Per i più titolati del Pd – ex segretari, ex ministri, presidenti di alcuni organismi – non c'era mai stato bisogno di alzare la mano e dire: riprendetemi, come adesso Bersani chiede di fare a D’Alema. Finora la deroga era scattata in automatico, infilata in una relazione, approvata all'unanimità. Al segretario, poi, era stata riservata una quota di candidature (Veltroni portò, tra gli altri, Carofiglio, la Concia, Achille Serra, la Madia, Calearo): persone senza storia di partito, scelte per allargare alla società civile. “Io non sono quello che nomina i deputati”, insiste oggi Bersani. Adesso il candidato alle primarie gioca per sé. Ha deciso di tirarsi fuori dalle beghe di partito, sta provando pure a far dimenticare l'esperienza del governo Monti. Così ieri, per una strana coincidenza, il protagonista democratico della maggioranza Abc, era proprio D'Alema, plasticamente seduto al tavolo del passato con cui Bersani (e Vendola) vorrebbero chiudere: Alfano, Casini, Fini e poi il vecchio Ciriaco De Mita, che “inorridisce” solo a sentir parlare di rottamazione.

Lui rappresenta “il precedente illustre” di cui parla Giuseppe Fioroni: “Se ci fosse un'altra legge elettorale – spiega – consiglierei a D'Alema di fare come De Mita: quando i Popolari gli chiesero di farsi da parte, lui si sottopose all'ordalia degli elettori, la prova di forza delle preferenze: c'erano i collegi uninominali, spazzò via sia il candidato di destra che quello di sinistra”. D'Alema la sua prova di forza l'ha già fatta: 700 firme pubblicate in un appello a pagamento su l'Unità per dire che Massimo è il “punto di riferimento” per quel Sud che vuole affrontare la sfida per il governo. Amministratori locali, sindaci, presidenti: una macchina organizzativa che fa paura, perché se si mette di traverso rischia di favorire proprio l'odiato Renzi. Un pericolo che lo stesso D’Alema ha adombrato in una telefonata “chiarificatrice” con Bersani. Qualcuno minimizza: nemmeno al Sud i dalemiani hanno più il polso della situazione, tant'è che tra quelle firme ce ne sono almeno due “false”: una siciliana (Sabrina Rocca) e una lucana (Antonio Placido), e non è detto che qualcun altro non si accorga che il suo nome è entrato in quell’elenco a sua insaputa.

Il nostro padrone è il popolo”, dice Pierferdinando Casini guardando D'Alema. “È la vendetta della storia, Massimo”, gli sussurra De Mita mentre parlano del bipolarismo. Lui si allontana dalla sala. Questa volta non prende l'ascensore. Scende a piedi, circondato dai cronisti che adesso hanno preso coraggio. Lui è poco socievole come al solito: “Studiatevi lo statuto! - si infervora – Studiatevi lo statuto! Voi non conoscete le regole! Chi vuole una deroga la deve chiedere”. Lei lo farà? “Vedremo. Questa è una decisione che spetta al mio libero arbitrio”.

Paola Zanca - 17 ottobre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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