mercoledì 26 settembre 2012

Polveroni e Formighini (di Marco Travaglio)


Negli ultimi giorni il governatore Roberto Formigoni si era battuto come un leone contro le dimissioni della governatrice Renata Polverini. Purtroppo per lui e per nostra fortuna, gli è andata buca. Ma il suo generoso sforzo era piuttosto comprensibile: se si dimette una governatrice che non è indagata e non è nemmeno
accusata politicamente di avere abusato del suo potere, cosa dovrebbe fare un governatore inquisito (come altri 12 consiglieri regionali) per corruzione e finanziamento illecito in una serie di vicende che vedremo se sono reato, ma già ora configurano spaventosi abusi di potere? Eppure la Polverini da oggi è a casa con giunta e Consiglio, mentre Formigoni resta a piè fermo al Pirellone con giunta e Consiglio. Possibile? L’esito opposto degli scandali del
Lazio, infinitamente meno gravi, e di quelli della Lombardia, infinitamente più gravi, non si spiega soltanto con le faide interne al Pdl locale. Ma anche col diverso impatto mediatico. Un capogruppo che, oltre alla faccia che ha, bonifica i rimborsi pubblici sui suoi conti personali fa molto più scandalo di un governatore che viaggia, villeggia, pasteggia e forse intasca a spese di un “facilitatore” della sanità privata convenzionata con la sua Regione. Eppure, se il primo scandalo è roba da rubagalline che sottraggono risorse ai cittadini per arricchirsi, ma non minano l’imparzialità dell’amministrazione, il secondo è un do ut des che inquina i meccanismi della spesa sanitaria, prima voce di ogni bilancio regionale. È difficile infatti sfuggire al sospetto che i fiumi di denaro pubblico dirottati alle cliniche private come il San Raffaele e la Maugeri fossero tutti dovuti, visto che a oliare i rubinetti in Regione era il faccendiere Daccò, ciellino come Formigoni e come molti dirigenti della sanità lombarda, il quale poi intascava la percentuale (70 milioni in pochi anni solo dalla Maugeri) e ne investiva una parte per mantenere a suon di milioni (7-8 secondo i pm) la vita da nababbo del governatore. I particolari del perverso quadrilatero Regione-cliniche-Daccò-Formigoni li abbiamo raccontati nell’istant book Roberto Forchettoni, in vendita col Fatto. Eppure il card. Bagnasco, presidente della Cei, non ha mai tuonato contro gli “scandali inaccettabili” e il “malaffare anche nelle regioni” nei mesi scorsi, via via che si scoprivano gli altarini del pio Celeste (e nemmeno quando il card. Bertone spedì in America mons. Viganò che stava sradicando il malaffare in Vaticano): lo fa solo ora che si scoprono quelli di Fiorito & C. Forse, se la Chiesa si fosse svegliata prima, Formigoni sarebbe a casa da un pezzo. Anche perché del caso si sarebbero magari occupati con più attenzione i tg e i talk show televisivi: invece, a parte Servizio Pubblico e pochi altri, il caso Lombardia è stato sempre poco telegenico. Se chiedete in giro cos’ha fatto Fiorito, lo sanno tutti. Cos’ha fatto Formigoni, lo sanno in pochi. E non perché i capodanni ai Caraibi, le cene e i jet e gli yacht a sbafo, le ville in Sardegna a prezzi stracciati siano meno “popolari” delle ruberie e dei festini del Pdl alla puttanesca. Il fatto è che il sistema Formigoni è molto più antico, consolidato, ramificato e trasversale dei parvenu romani e dei brubru ciociari. Infatti, mentre a Roma gli ex An sparano sugli ex forzisti e viceversa, a Milano non muove foglia e non parla nessuno. Nemmeno la Lega, che ha imposto le dimissioni financo al suo fondatore, osa chiederle al Celeste. Toccare lui significa mettere in discussione un regime che dura da 17 anni e ha dato da mangiare un po’ a tutti (vedi spartizione degli appalti fra coop bianche e rosse, non solo in Lombardia). E minare il berlusconismo nella sua ultima roccaforte, dopo i crolli di Sicilia e Lazio. Forchettoni potrebbe dimettersi persino per le sue giacche e le sue camicie. Non per le indagini di corruzione. Fra l’altro, creerebbe un pericoloso precedente.

Marco Travaglio - 26 settembre 2012 -
Fonte: Il Fatto Quotidiano Pdf
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